Gli Stati Uniti hanno sempre suscitato o grandi simpatie o grandi avversioni. D'altra parte abbiamo vissuto (e in parte viviamo tutt'ora) sotto l'influenza di vecchie ideologie antiamericane: il fascismo, il comunismo, come anche la cultura cattolica, che ha sempre visto nella società americana la patria del consumismo e del capitalismo materialista. Eppure noi europei dovremmo avere un debito di gratitudine sopra ogni altro: ci hanno salvato dal nazifascismo prima e dal comunismo poi. Qualcuno obietta, anche lì, che lo abbiano fatto per interesse, per costruire il loro impero mondiale. Se anche fosse, meno male che c'è questo impero, altrimenti avremmo avuto gli imperi di Hitler e Stalin.
Molti detrattori degli Stati Uniti, paradossalmente, sono proprio gli intellettuali americani, soprattutto quelli schierati a sinistra (quasi tutti). Tra i tanti, c'era Gore Vidal, un grande scrittore, che agli Stati Uniti ha dedicato ben sette romanzi, il ciclo Narratives of Empire, e di cui Fazi sta per ripubblicare l'ultimo, uscito nel 2000, e intitolato L'età dell'oro, ambientato tra il 1940 e il 1954. È un debordante affresco strapieno di personaggi, intellettuali, politici, diplomatici, attori, ambasciatori, presidenti, vicepresidenti, con tanto di genealogia a inizio testo, per orientarsi. Chi ama Vidal, non rimarrà deluso dall'intreccio, che si spinge fino ai vertici di politica e arte; e dallo stile che, anche nei momenti di massima tensione, non perde di vista il divertimento (spesso sotto forma di caustica ironia). Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: Vidal è un grande scrittore.
In ogni caso, siccome dobbiamo prenderlo come un romanzo etico oltre che epico, al di là degli intrecci, dobbiamo prendere eticamente i grandi interrogativi posti da Vidal, tra cui: Franklin Delano Roosevelt ha provocato l'attacco di Pearl Harbor, sacrificando la vita di militari americani, per poter giustificare l'entrata in guerra visto che l'opinione pubblica era contraria? E lo ha fatto per un'ideale, o per restare cinicamente al potere? La guerra di Corea era necessaria, o era solo un altro espediente del potere per estendersi a livello mondiale? La risposta alla prima domanda, dibattuta dagli storici, mi è sempre sembrata inutile, specie se trattata con gli strumenti del romanzo, perché se pure l'attacco di Pearl Harbor fosse stato provocato, il risultato è che ha reso possibile l'ingresso in guerra degli Stati Uniti contro Hitler, salvando il sederino a chiunque, soprattutto a noi. Quanto alla guerra di Corea, non ho mai capito perché ci si occupi dell'imperialismo americano e non dell'imperialismo sovietico, visto che il primo è la risposta militare al secondo. C'erano giochi di potere? E allora? Cosa dovevano fare, giocare a carte? Ah, gli europei! Pronti a accusare gli Stati Uniti perfino di aver stanziato i milioni di dollari del Piano Marshall per il solito interesse, salvo prenderceli, così, per disinteresse.
Sarà stata pure una voce fuori dal coro, Vidal, ma non si è accorto che il coro cantava la stessa canzone da quasi settant'anni. Con questa retorica del potere, sempre uguale, sempre la stessa, si perde di vista la sostanza: il Novecento è stato il secolo di tremende dittature, che hanno trovato il loro cammino sbarrato dagli Stati Uniti. Una superpotenza, certo, e meno male. Come d'altra parte gli Stati Uniti sono adesso in prima linea contro gli integralisti islamici. E anche qui, gli intellettuali illuminati cosa dicono? Anziché chiedere al potere statunitense di combattere con ancora più decisione il terrorismo islamico (anche perché noi non siamo capaci di farlo), dicono che il terrorismo è causato dagli Stati Uniti.
Sarebbe dunque una «controstoria», quella di Gore Vidal, sebbene sia l'unica storia raccontata dagli scrittori americani, per sentirsi degli oppositori, contro il potere. Da cui si deduce che il potere americano, se c'è, è impegnato a produrre costantemente propaganda antiamericana. Basti pensare che una delle maggiori serie televisive di successo degli ultimi anni è stata House of Cards, molto apprezzata da Vladimir Putin («gli Stati Uniti sono esattamente così») e prodotta da Netflix.
Che al momento, oltre a denunciare il potere americano, ha fatto un'unica vittima del puritanesimo del potere cinematografico: Kevin Spacey (il quale a proposito ha interpretato proprio Gore Vidal in un film di Michael Hoffmann che non vedremo, perché gli scandalizzati ne hanno bloccato l'uscita).Spacey ha sbagliato solo a difendersi nel dichiararsi omosessuale, doveva dichiararsi comunista: l'avrebbero difeso tutti, come hanno sempre fatto con Pier Paolo Pasolini.
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