I musical fanno ballare i templi della lirica

«Cats» al Regio, « West Side Story» a Salisburgo... Un successo che per i critici è una violazione

Piera Anna Franini

I musical violano o arricchiscono i templi della lirica? Possono convivere, sotto lo stesso tetto, le creature di Verdi e Rossini con quelle di Lloyd Webber e Sondheim? Al Regio di Torino e al Carlo Felice di Genova è appena andato in scena Cats, e al Regio di Parma si attende Grease, dopo i sold out di dicembre di Jesus Christ Superstar. A Venezia per il 2018 sono in programma due titoli in coproduzione con teatri del Far West statunitense: A Quiet Place di Bernstein e un'opera di compositore e librettista statunitense, in stile american-folk: genere dalle quote in ascesa. In questi giorni, per esempio, al Kitchen Theatre di New York si sta proponendo Billy Blythe, opera centrata sulla giovinezza di Bill Clinton, commistione fra tradizione operistica europea e folk.

Va controcorrente anche il Festival di Salisburgo che il 13 maggio inaugura la sua edizione di Pentecoste con West Side Story di Bernstein. È un'idea della cantante, e direttrice del Festival, Cecilia Bartoli che interverrà nel ruolo di Maria, con lei una squadra che brilla a Broadway. Si parte da Philip McKinley, firma di Spider-Man, il musical su testi di Bono e The Edge, che nella Grande Mela in una settimana ha incassato 3 milioni di dollari.

C'è chi sbotta, chi difende il musical e le folk-pop-rock-opere, chi non ne vuole proprio sapere delle incursioni a stelle e strisce nei teatri di tradizione, chi fa distinguo fra musical e musical. Partiamo dai distinguo. A Parma capita spesso che il teatro si presti ad appuntamenti extra capitolato lirico-sinfonico: si va dai concerti di De Gregori ai musical. Nelle città di piccole dimensioni accade, insomma, che il teatro d'opera sia contenitore di offerte diverse.

Diverso il caso di Venezia. Il direttore artistico della Fenice, Fortunato Ortombina, osserva che «la programmazione di una stagione deve essere un grande spettacolo già in sé, sulla carta, articolato in appuntamenti variegati». S'inserisce dunque in quest'ottica il progetto dei titoli americani: si vuole diversificare. Proprio come a Torino, dove le sei recite di Cats hanno fatto il tutto esaurito e negli anni a venire si prevede un musical per stagione; il prossimo sarà West Side Story. Il teatro torinese, spiega il direttore artistico Gastón Fournier-Facio, procede però con cautela e svincola i musical dall'abbonamento tradizionale. Quanto a Salisburgo. Cecilia Bartoli è la cantante che conosciamo, ma cosa la spinge verso il musical? «La musica è fantastica - dice -. Mi piace l'energia che circola, il ritmo, il temperamento latino, i dialoghi arguti».

Musical, iniezione di vita alternativa nei teatri ma anche negli stessi artisti dunque, vedi il caso della Bartoli ma anche di Bryn Terfel, coinvolto in Sweeney Todd con Emma Thompson. La discussione sul tema è viva da tempo nel mondo anglosassone, laddove il musical è nato. Una preoccupazione, per esempio, la solleva Fred Plotkin, tra i giornalisti culturali di punta a New York.

Plotkin teme che registi di musical si occupino dell'opera sottovalutando le complessità del genere e il fatto che le platee dell'opera, diversamente da quelle dei musical, non chiedono «l'intrattenimento, ma vogliono essere illuminate e ispirate. Il melodramma non potrà essere efficace se ha come obiettivo l'essere gradevole».

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