«Ogni generazione ha il suo eroe, preparatevi a incontrare il nostro», recita il poster che nelle metropolitane di Londra pubblicizza Il diritto di opporsi, film che esce in Italia il 30 gennaio. La storia raccontata nella pellicola di Destin Daniel Cretton è quella di Bryan Stevenson, avvocato afroamericano cresciuto in un quartiere povero e ghettizzato di una cittadina nel Delaware. Dopo una laurea ad Harvard con ottimi voti, invece inseguire una carriera da avvocato di successo decide di trasferirsi a Montgomery, in Alabama, lo stato americano con il tasso di pena di morte pro capite più alto negli Usa, per aiutare i più deboli, coloro che, pur essendo innocenti, si ritrovano nel braccio della morte in attesa di sentenza. Con la sua Equal Justice Initiative, Stevenson, nel film interpretato da Michael B. Jordan, ha salvato dagli anni Ottanta a oggi 135 vite e ha acceso una luce sul pregiudizio e sul razzismo che affligge ancora oggi il sistema giustiziario americano. È lui, inoltre, a essersi battuto per togliere l'ergastolo senza condizionale ai minori di 18 anni. Ed è sempre lui ad aver fondato il National Memorial for Peace and Justice in Montgomery, il primo museo per ricordare le migliaia di vittime di linciaggio e schiavitù, tra il 1877 e il 1950.
Nel film ispirato all'omonimo libro edito da Fazi editore - vediamo Stevenson lavorare a uno dei suoi primi casi, quello di Walter McMilian (Jamie Foxx), un uomo che viene condannato a morte per l'omicidio di una giovane ragazza. Omicidio che non ha commesso. Nonostante le prove e le testimonianze siano a suo favore, trascorre 6 anni nel braccio della morte e Stevenson farò di tutto per salvarlo dalla sedia elettrica. «La cosa più difficile? ci racconta l'attivista e avvocato a Londra, dove lo incontriamo - convincere le vittime che si poteva fare. In tanti ci avevano provato prima di noi, senza successo. Ho sempre creduto in cose che non ero in grado di vedere e questo mi ha cambiato la vita. Penso inoltre che la resistenza della società e del sistema abbia resto tutto molto difficile, non mi aspettavo minacce di bombe o di morte, non mi aspettavo di incontrare persone così ostili, così convinte nel negare la verità e incapaci di ammettere di aver sbagliato, nonostante ci fosse la vita di un uomo sulla graticola».
Un altro aspetto importante del film è la pena di morte e il mantra di Stevenson non è chiedersi se il condannato merita di morire per il reato commesso, ma rivolgere la domanda a noi: meritiamo di uccidere? Un aspetto che già nel XVIII secolo Cesare Beccaria affrontava ne Dei delitti e delle pene: «Credo che progetti come questo ci possano aiutare ad arrivare a comprendere questo concetto risponde riferendosi anche al giurista e filoso italiano in tanti non sanno che negli Stati Uniti si rischia di rimanere incastrati in un sistema sbagliato, che può costare la vita. Negli Usa è facile farsi distrarre dalla vita delle celebrità e dei ricchi, senza preoccuparsi dei poveri e dei reclusi. Sono grato alla Warner Bros e al cast perché questo film avvicina gli spettatori a questa realtà. Vorrei che tutti la vedessero da vicino».
La vicenda narrata nel film si svolge nel 1987, cosa è cambiato da allora?, gli chiediamo: «Ci sono molti più avvocati che lavorano come noi rispetto all'inizio. Negli Stati Uniti abbiamo meno persone in prigione ma il tasso di incarcerazione è ancora troppo alto. Percepisco inoltre una crescita di rabbia e paura, due cose che sono sempre state, nella storia, una minaccia per i diritti umani».
Razzismo e pregiudizio, nonostante la lunga e sanguinosa battaglia per i diritti civili, sono ancora difficili da estirpare: «È una realtà che viviamo ancora oggi spiega Michael B. Jordan ricordo quando ero ragazzo, i miei genitori mi presero da parte dicendomi, D'ora in poi dovrai comportati in un certo modo, se la polizia di ferma c'è un codice che dovrai rispettare, e così via».
«Storie come queste accadono e le senti sussurrare all'orecchio racconta Jamie Foxx come quella di un uomo di colore con un lavoro normale che un giorno viene fermato dalla polizia che gli dice: Ora vai in prigione per l'omicidio di una ragazza. Non vogliono sentire la sua versione, non vogliano nessuna scusa e nemmeno avere la testimonianza della famiglia che può fornirgli un alibi».
E poi ancora: «È una storia che deve essere raccontata. Spero che i tredicennenni, quattordicenni o quindicenni che andranno al cinema, che siano bianchi, di colore, ispanici o asiatici o di qualsiasi altra etnia, lasceranno la sala con una nuova impostazione mentale, dicendo a se stessi: non vogliamo più vedere qualcosa del genere accadere».
«Con questo film vogliamo accendere una luce sulle debolezze del nostro Paese e attraverso questa autodiagnosi provare a trovare delle soluzioni che migliorino il sistema», aggiunte Michael B. Jordan, impegnato anche nella produzione del film con la sua Outlier Society: «Ho trovato d'ispirazione il discorso che Frances McDormand fece sul palco degli Oscar, quando citò l'inclusion rider clausola che gli attori possono inserire nel loro contratto e che impone di dare spazio alle minoranze nel cast o nello staff, includendo persone di diverse etnie, genere o con disabilità in maniera bilanciata . Le generazioni che ci hanno preceduto hanno faticato molto per migliorare e ora siamo riusciti a smentire la falsa verità che i film con protagonisti di colore non incassano oltreoceano (Black Panther è nella top ten dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema). Stiamo andando nella strada giusta ma abbiamo ancora molto da fare».
Sì, perché anche agli Academy Awards di quest'anno su venti attori e attrici in nomination, diciannove sono bianchi e questo film non ha ottenuto nemmeno una statuetta: «Rispettiamo la decisione
dell'Academy e i nostri colleghi che sono stati candidati ha spiegato Foxx per fugare ogni dubbio il discorso dei premi è diverso da quello della produzione e in questo campo Michael B. Jordan sta facendo un grande lavoro».
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