Su qualunque set si trovi, per concentrarsi Anna Valle ascolta della musica in cuffia. «Canzoni rock - precisa lei - quelle che mi caricano di più». Ecco spiegato perché sul set di Lea, un nuovo giorno (serie diretta da Isabella Leoni e co-interpretata con Giorgio Pasotti, da stasera per quattro martedì su Raiuno) la bella attrice romana ascoltasse continuamente i Mumford and Sons: «I temi dolorosi di questa storia, e la necessità di affrontarli con un'ottica energica, positiva, mi spingevano a caricarmi più che mai».
Lea è infatti la storia di una madre che partorisce una bambina morta. Il diverso modo di affrontare questo dramma finirà per separarla dal marito (interpretato da Pasotti).
«Non basta. Dopo una lunga aspettativa, Lea torna a fare l'infermiera specializzata presso il reparto di pediatria di un ospedale di Ferrara. E proprio quando il lavoro sembra aiutarla a dimenticare, e lei sembra incontrare un nuovo amore, chi si presenta come nuovo primario del reparto? Proprio il suo ex marito».
C'è poi il tema del dolore dei bambini malati: un dolore misterioso, ingiusto, apparentemente senza spiegazioni.
«Che si può affrontare solo con l'amore. Non credo esistano altri mezzi. Questo Lea lo sa bene; per questo dà tutta sé stessa ai piccoli pazienti».
Nonostante le sofferenze proprie, insomma, non perde la sensibilità verso quelle altrui?
«Al contrario: è proprio il suo dolore ad aiutarla a comprendere quello dei piccoli malati. A stabilire con loro un rapporto empatico, a curarli meglio. Lea non vuole essere un medical di tipo tecnico. Vuole raccontare l'umanità che c'è dietro ai migliori, fra i nostri medici e paramedici. Lea è un'infermiera ideale? Sì. Ma nei nostri ospedali l'ideale esiste. Posso testimoniarlo personalmente, per esperienza diretta».
Ha chiesto che delle autentiche infermiere che la preparassero al ruolo.
«Volevo capire il perché degli strumenti che avrei maneggiato, e maneggiarli come se in vita mia non avessi fatto altro. La nostra serie è dedicata anche a loro: alle grandi infermiere che assistono i nostri bambini».
Come fa Lea a superare la tragedia della figlia morta? A dedicarsi con tanto trasporto ai figli degli altri?
«In realtà la sua è una tragedia che non si può superare. Si può ogni tanto addormentarne il dolore, concentrandosi sul proprio lavoro. In questo Lea è aiutata dal gruppo di colleghi che le si stringono attorno. Una realtà, questa dell'amicizia nei luoghi di lavoro, che raccontiamo con piacere. Certo: in tutti gli ambienti c'è competitività, magari ostilità. Ce n'è anche nel mio. Per fortuna, però, io ho anche numerosi amici e amiche uniti a me da stima, da rispetto. So che, in caso di bisogno, potrei contare sulla loro vicinanza».
Questo personaggio le sarà costato un grande fatica emotiva.
«Sì, grande. Ma mi ero preparata con scrupolo. La regista Isabella Leoni ha voluto che vedessi e rivedessi Pieces of a Woman, un film di Kornél Mundruczó premiato a Venezia, che racconta la crisi di una coppia cui il primo figlio muore alla nascita. La tragedia è enorme ma lo stile del racconto lieve, delicato. Abbiamo cercato di assimilarne il pudore. E poi c'era il mio interesse per il lavoro dell'infermiera. Stare vicino a chi soffre tanto più se è un bambino - non è un semplice lavoro. Perché non è un lavoro come gli altri».
Molti suoi personaggi sono caratterizzati da questo tema del ritorno alle origini, e quindi della rinascita. Solo un caso?
«Forse no. Sarà perché io do molta importanza alle mie origini.
Nonostante il successo non dimentico mai quello che ero, da dove vengo, la mia famiglia così semplice. La mia famiglia continua a rimanere per me un punto di riferimento irrinunciabile. Per questo molti miei personaggi tornano da dove sono partiti: per continuare a rimanere quello che erano».
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