L'epopea delle Crociate come non l'avete mai vista

Il nuovo saggio di Christopher Tyerman racconta le guerre di religione a colpi di oggetti e iconografia

L'epopea delle Crociate come non l'avete mai vista

Prendere la croce. Ottenere la remissione dei peccati. Combattere in nome di Cristo in una scintillante armatura da cavaliere. Oppure semplicemente fare il carpentiere, ben pagato per costruire macchine d'assedio per conquistare Damietta. Oppure essere una donna che, coinvolta negli scontri feroci contro i musulmani, si ritaglia un ruolo che in altre circostanze sarebbe stato impensabile: come la crucisegnata Margaret di Beverley che, accorsa a difendere Gerusalemme nel 1187, combatte come una virago in armatura maschile e vive mille avventure contro i turchi.

Sono soltanto alcune delle possibilità, degli infiniti ruoli - che vanno dal traduttore al ladro di reliquie - che si sono sviluppati attorno a quel complesso fenomeno che furono le crociate. Elemento fondante della storia medievale, e non solo, l'idea di crociata ha caratterizzato fenomeni ed epifenomeni molto diversi che spaziano dalle scorrerie dei cavalieri teutonici nel grande Nord agli accordi sottobanco tra cristiani e musulmani per cercare di trovare un equilibrio in Terrasanta.

Una bella sintesi di come sia nata e cresciuta questa complessissima idea di guerra santa (all'occidentale) arriva adesso in libreria per Einaudi a firma dello storico oxoniense Christopher Tyerman: Il mondo delle crociate. Una storia illustrata (pagg. 500, euro 95).

Tyerman, che del tema è uno dei massimi specialisti a livello mondiale, ha realizzato un testo incredibile a partire anche dalla documentazione fotografica e dalle schede a tema che lo accompagnano. La storiografia ha spesso oscillato tra la laicizzazione di questi conflitti - trasformando il movente religioso nella triste foglia di fico dell'espansionismo della rissosa nobiltà feudale europea - e l'apologetica empatica verso il modo di pensare dei nostri antenati della fine dell'XI secolo. Il volume non fa nessuna delle due cose e si muove in mirabile equilibrio per fornire uno strumento d'approfondimento di livello. Per usare la sintesi dello stesso Tyerman: «Il coinvolgimento dei crociati poteva essere fervido o forzato, frutto di una libera scelta o delle necessità legate al lavoro, entusiasta, indifferente o risentito. Le crociate furono guerre combattute sotto il vessillo della fede religiosa, e sono inspiegabili se non si riconosce questo dato. Tuttavia sono anche qualcosa di più e di meno: di più perché rientravano in uno schema più ampio di aggressione culturale e territoriale; di meno perché in quanto guerre, venivano combattute come tutte le altre, ed erano una faccenda di soldi e di uomini, di tattica e di tecnologia, di castelli e di carpenteria». E le schede ricche di immagini del volume aiutano proprio a mantenere collegati questi livelli.

Una croce in metallo della prima crociata è il punto di partenza per raccontare tutto il complesso percorso simbolico che dava via al viaggio bellico verso la Terrasanta che solo molto tardi iniziò a essere chiamato «Crociata». A partire da Urbano II nacque proprio un rituale della partenza che culminava nel posizionare una croce ben visibile sul partente. Chiunque poteva prenderla a condizione di essere libero. Il crucisegnatus da quel momento aveva un nuovo stato con obblighi e privilegi precisi. Privilegi che potevano fare molto comodo: per dirla come una formula liturgica inglese, la croce sul mantello diventava «uno strumento speciale di assistenza, un sostegno della fede... una protezione e salvaguardia contro i dardi feroci di tutti i suoi nemici».

Il così detto Sudario di San Josse è invece il punto di partenza per parlare di bottino, altro tema di grande importanza nelle guerre in nome della fede. Tra il salvataggio di una reliquia e la caccia alle altrui ricchezze spesso il confine era molto labile. Ci fu chi come l'abate Baldrico di Bourgueil arrivò a teorizzarlo con chiarezza, sostenendo che erano offerti ai crociati «i beni dei vostri nemici... perché saccheggerete i loro tesori».

Certo il saccheggio poteva avere un prezzo molto alto, lo provano le belle immagini provenienti dalla fortezza di Ateret dove all'alba del 29 agosto 1179, dopo un assedio di cinque giorni, il Saladino riuscì ad irrompere con le sue truppe nella fortezza che gli uomini di re Baldovino IV stavano costruendo per difendere il così detto Guado di Giacobbe. Il forte distrutto si è trasformato in una capsula del tempo che ci ha consegnato un resoconto archeologico perfetto di una battaglia del XII secolo.

Ma, se ci sono i resti cruenti degli scontri, il libro ci ricorda anche quanto spesso si procedesse sul filo della diplomazia e il nemico islamico di ieri potesse diventare l'amico di oggi contro un altro potentato islamico o anche contro un ex alleato cristiano.

Molto belle anche le pagine che raccontano, anche in questo caso a colpi di immagini, come l'idea delle crociate sia arrivata - trasfigurata - sino ai giorni nostri trasformandosi in un meme duraturo della cultura occidentale e non solo. Esiste un'idea di crociata che ha fatto la sua strada sino alla Prima guerra mondiale quando i soldati americani venuti a combattere in Europa vennero definiti, a torto o a ragione, i «Pershing's Crusaders».

E un'idea di crociata che ha fatto di Saladino un eroe ancora presente in forma di statua nelle città islamiche. Ma proprio nel misurare la distanza tra queste idee e i fatti del Medioevo diventa utile lo studio della Storia.

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