“Lupin – Parte 2”: azione, charme e una teatrale resa dei conti finale

I nuovi episodi presentano meno citazioni e perdono in leggerezza, ma guadagnano in termini di complessità grazie a un ingranaggio narrativo più sofisticato.

“Lupin – Parte 2”: azione, charme e una teatrale resa dei conti finale

Lupin torna da oggi su Netflix, con la seconda parte della serie i cui primi cinque episodi (qui la recensione) sono usciti lo scorso Gennaio.

Abbiamo imparato mesi fa a conoscere la furbizia di Assane Diop (il sempre più a suo agio Omar Sy), le cui gesta sono ispirate a quelle del ladro gentiluomo di cui leggeva da piccolo. Sappiamo che non ha nulla in comune con i criminali che si trova ad affrontare, spietati soprattutto in questi nuovi episodi, e che è alimentato dalla sete di vendicare il padre, suicida in carcere perché incastrato all’epoca dal facoltoso Pellegrini per un furto mai commesso.

L’azione ricomincia dal colpo di scena finale della prima stagione, in cui il figlio del protagonista, Raoul, venire rapito da uno scagnozzo del magnate. Le nuove vicissitudini appaiono più complesse da seguire, improntate al tono melodrammatico piuttosto che all’azione rocambolesca. La minor leggerezza è data anche dalla riduzione delle citazioni dei romanzi di Leblanc e dal fatto che, nella storia, Diop ha perso l’anonimato: ora il Paese sa bene che faccia abbia e non è detto che la maestria nei travestimenti possa bastare all’uomo per continuare a farla franca. Ci sono ancora la critica al razzismo accennata nei primi episodi e i flashback (meno didascalici e più funzionali) sulla nascita dei rapporti con i personaggi cui Diop è legato nel presente.

Tra nuove alleanze e vecchi risentimenti, nella seconda parte di “Lupin” va in scena quindi una giostra di personaggi, ognuno con il proprio ruolo funzionale al compimento del faccia a faccia finale tra protagonista e antagonista. Malgrado il primo sembri professare solidi principi, pur di compiere la propria vendetta non esita a manipolare la figlia del suo nemico, Juliette, al fine di mettergliela contro. Da spettatori non sappiamo se quello per la donna sia un sentimento autentico, di sicuro il corteggiamento non è privo di iperbolici trucchetti alla Lupin.

Insomma, da un lato abbiamo un milionario che ha la polizia a libro paga, brinda al denaro come origine del mondo e per farne sempre di più non esita a intascare le donazioni destinate a una fondazione, dall’altro un ladro che, per punire l'uomo che odia, mette in atto una variante di quanto già commesso proprio da questo, tentando di colpirlo negli affetti più cari.

La resa dei conti avverrà nelle quinte teatrali di un concerto.

Il “Lupin” a misura di Netflix è un racconto sfarzoso e sfizioso, forte di una

messa in scena efficace, un ritmo spedito e una costruzione narrativa sofisticata. Pur essendo pienamente autoconclusivo, viene sapientemente lasciato aperto uno spiraglio per la nascita di nuove avventure.

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