Manfredi, l'onestà dell'uomo e dell'attore

Francesco Mattana

Li chiamavano i quattro «colonnelli» della commedia all'italiana. I quattro in questione erano Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e in ultimo (non per importanza) Saturnino Manfredi, per tutti Nino. A quindici anni dalla scomparsa, il ricordo dell'umile ciociaro che si fece grande in virtù della straordinaria bravura rimane indelebile. Cionondimeno, una «ripassatina» della sua carriera non guasta. Inoltre, valeva la pena mettere una volta di più nero su bianco l'unicità di Manfredi. È quanto ha fatto Alessandro Ticozzi, autore di Nino Manfredi, l'eroe positivo della commedia all'italiana (Sensoinverso Edizioni), saggio che ponendo l'accento su alcuni passaggi della sua filmografia, espone la tesi secondo cui Manfredi era l'unico, fra i quattro, a essersi affermato proponendo caratteri virtuosi. Fatte salve rare eccezioni, come lo spregevole capofamiglia in Brutti, sporchi e cattivi, i personaggi cui diede vita non avevano il cinismo dei ruoli di Sordi, né la smargiasseria di quelli di Gassman o la furberia di quelli di Tognazzi. Manfredi, al contrario, vestiva i panni di uomini che propugnavano l'onestà in un universo corrotto. I protagonisti delle sue pellicole, da L'impiegato a Il padre di famiglia, sino ai capolavori della maturità Per grazia ricevuta, Pane e cioccolata, C'eravamo tanto amati, erano «antieroi» pieni sì di difetti, ma supplivano alle manchevolezze brandendo l'arma della correttezza nei rapporti umani.

Ticozzi, nella sua panoramica, fa delle «zoomate» su alcuni titoli, come Le avventure di Pinocchio dove Nino interpretava un Geppetto candido come un bambino, oppure il meno noto L'avventura di

un soldato, suo esordio registico nel quale senza proferire parola, col solo ausilio della mimica, raccontava di un soldatino e una giovane vedova timidamente intenti ad approcciare dentro uno scompartimento ferroviario.

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