Montesano, un Rugantino sublime

A 73 anni l'attore rimette i panni della tipica maschera romana

Paolo Scotti

Millecinquecento persone che cantano, all'unisono e senza neppure il sospetto d'una stonatura, Roma nun fa' la stupida stasera. Questa l'emozionate apoteosi con cui, giovedì sera a Roma, il pubblico del Sistina ha trionfalmente salutato il ritorno di Enrico Montesano al suo Rugantino; al celebre musical, cioè, di cui fu nel 1978 dopo Nino Manfredi e prima di Valerio Mastandrea ed Enrico Brignano - lo storico, indimenticabile interprete. Diciamolo subito: l'annuncio che l'ormai settantatreenne attore avrebbe nuovamente indossato, a quarant'anni esatti dal debutto, i panni del pavido sbruffoncello trasteverino, qualche perplessità l'aveva sollevata. Eppure: miracoli del teatro. E' bastato che un Montesano solo vagamente appesantito, ma dall'ironia più graffiante e dall'estro più sbrigliato che mai, affermasse d'essere «sempre un bel paìno, un gran bel bocconcino» (come canta nella canzone-presentazione di Armando Trovajoli) perché quattro decenni sparissero d'incanto. E lui tornasse lo spaccone tenero ed irresistibile che tutti ricordavano, con in più però - le mille sfumature d'arguzia e le nuances sornione che solo un'esperienza come la sua può regalare.

Ne è risultato il ritratto semplice eppure ricco, sfaccettato quanto umanissimo, di una «maschera» che in modo mirabile riassume in sé pregi e difetti della romanità più classica. Tutto il resto lo ha fatto uno spettacolo che, fedelmente ripreso da Massimo Romeo Piparo dall'edizione originale 1962, non finisce di stupire ed incantare per la perfezione di ogni suo comparto, tale da farne il capolavoro dei capolavori firmati Garinei e Giovannini. Dal copione scritto con Festa Campanile, Franciosa e Magni in un romanesco saporoso e ormai perduto; alle stupefacenti scenografie girevoli di Giulio Coltellacci, che magicamente compongono e scompongono una Roma da acquerello del Pinelli; alle scintillanti canzoni di Trovajoli, col tempo elette ad autentico DNA musicale capitolino.

Ha sessantasei anni, Rugantino; e non ha perso un solo atomo della sua sfavillante, irresistibile freschezza. Sostenuti da un simile meccanismo a prova di bomba, ma anche esposti a temerari confronti coi passati interpreti, si sono mossi, perfettamente a loro agio, i nuovi. La napoletana Serena Autieri ha della romanissima Rosetta tutta la nobiltà plebea e l'orgoglioso impeto canoro. Antonello Fassari, ha rilevato il leggendario ruolo del boia Mastro Titta, con ammirevole naturalezza comica. Edy Angelillo (ricordate Bice Valori?) è stata estroversa, spiritosa, accattivante. E le tre ore e mezzo di spettacolone sono così volate in un crescendo di risate e continui applausi a scena aperta, fino al celebre finale, in cui le risate si sono mescolate al pianto.

E dopo le ovazioni, ecco Montesano dirigere a proscenio il coro dei millecinquecento spettatori. Consentiteci l'osservazione. Malinconica, se volete, ma indiscutibile. Spettacoli come questo non se ne fanno davvero più.

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