Neppure la morte ferma il duello tra Amis e Roth

L'uscita della biografia autorizzata di Roth riaccende le polemiche che li contrapposero

Neppure la morte ferma il duello tra Amis e Roth

Martin Amis contro Philip Roth: non un vero e proprio scontro, ma lo scrittore inglese, il Mick Jagger della letteratura, non ha mai mancato di criticare il collega americano con frasi capaci di mettere all'angolo anche il più grande degli scrittori. Una polemica che diventa ancora più attuale adesso che negli Stati Uniti è uscita la prima biografia autorizzata da Roth e scritta da Blake Bailey (ne abbiamo parlato su queste pagine, in anteprima italiana, dopo aver letto il libro in esclusiva). Rileggendo Inside Story, l'autobiografia romanzata di Martin Amis - uscito negli States e in Inghilterra lo scorso settembre e considerata dal Times tra i migliori libri del 2020- comprendiamo come Amis e Roth confessino, alla fine, di avere avuto due vite divergenti ma parallele. Roth più misurato, più riservato, Amis più simile ai protagonisti dei suoi romanzi: spacconi dell'infinito caratterizzati da una gioventù all'insegna degli eccessi e da una vecchiaia (oggi Amis ha 71 anni) vissuta come ossessione sociale oltre che personale. Entrambi ossessionati dalla figura femminile e dal sesso, da donne che diventano (s)oggetto dei loro romanzi, hanno affrontato il tema con approcci chiaramente differenti: Amis con il fare dell'uomo di mondo, londinese trasferito tra le mille luci di New York, mentre Roth come ombre vivide, vissute in persona e poi nei suoi romanzi.

In Inside Story con molte pagine dedicate a Saul Bellow, Christopher Hitchens e Philip Larkin- ad aleggiare in ogni pagina è proprio Philip Roth. Amis non lo esplicita, se non raramente, ma tra le righe capiamo come il suo confronto con lo scrittore americano sia quasi una mania. È come se Amis volesse accreditarsi attraverso le continue citazioni letterarie forbite (in media una a pagina, con lunghe note). Per di più sapendo che la biografia autorizzata di Roth sarebbe uscita dopo la sua autobiografia sottolinea così, a proposito di chi autorizza lo scrivere della propria vita: «Un modo per permettere alla vanità di mentire. È meglio non averci niente a che fare. Non impegnare nessuna parte della tua mente per abbellire la tua immagine. Una perdita di tempo».

Una diatriba annosa che Amis aveva già trattato (Roth il vecchio: un'investigazione morale , ne L'attrito del tempo, Torino, Einaudi, 2019, pagg. 321-325), scrivendo che «Roth non fornisce ai suoi personaggi nessuna lucidità morale», ma solo la capacità di raziocinio e sofferenza. L'unica conseguenza possibile dell'amore è quindi «un tormento che non conosce sosta», perché le donne «non sono in grado di rendere felice un uomo vecchio», ma «sono in grado di rendere molto vecchio un uomo felice, conferendogli un'orribile sensazione di debolezza e di disperata fragilità, come in un brutto sogno». Concetto ribadito in Inside Story. Non è rimasto in silenzio Blake Bailey, l'autore della biografia di Roth, considerando Inside Story «una storiella per bambini» e ricordando che «Martin Amis una volta disse che avrebbe scritto un romanzo per bambini solo se avesse avuto una grave lesione cerebrale. Spero che si senta adeguatamente castigato, signor Martin Amis, a crogiolarsi a bordo piscina della Fiera del Libro di Miami con un piccolo drink a ombrello». Mentre Amis, raccontando dell'abbandono dalle scene letterarie di Roth, controbatte : «Se sentiva davvero di aver finito la benzina, ha fatto la cosa giusta a lasciar perdere invece di sbattere la testa contro il volante. Non è che gli fosse rimasto qualcosa da dimostrare. Semmai, avrebbe potuto rimpiangere di non essersi fermato prima. Non perché la qualità della sua scrittura fosse diminuita, ma perché il rapporto dolore-ricompensa di romanzi come Nemesi, Indignazione, L'umiliazione non ne valeva la pena». Scrivendo de L'animale morente evidenzia, invece, un problema morale e pensa che se il protagonista fosse stato un artista di primo piano e nel pieno del vigore molti lettori avrebbero storto il naso di fronte alle sue perversioni, all'incapacità di sentirsi in colpa e che Roth può essere in sintonia con il suo protagonista e che forse la vecchiaia e la morte sono faccende talmente disperate da giustificare ogni genere di gratificazione che si riesce a trovare. E conclude così: «Riesci a immaginarla, la vecchiaia? Naturalmente no. Uno degli eterni limiti della letteratura è che non riesce a prepararci a ciò che non abbiamo ancora vissuto. Le pagine migliori di L'animale morente riescono nell'impresa, e io continuerò a fare affidamento sulla miracolosa energia di Roth. A un'illuminazione così potente si può rispondere solo in modo ambiguo, con qualcosa tipo: no, ma grazie lo stesso».

Amis definisce Roth un «divided self», «un sé diviso» per poi contraddirsi proprio in questa autobiografia romanzata dove fa parlare se stesso in prima persona, poi in terza e infine chiamandosi Martin. Amis non le manda a dire neppure a Nabokov (malgrado la sua autobiografia abbia una struttura narrativa molto vicina a Ada), Updike e gli scrittori francesi e la loro «propensione alla sporcizia», mentre ammiccando ancora a Roth scrive: «Nelle loro fasi avanzate, i grandi scrittori tendono a diventare acquosi e leggermente stantii».

Inside Story non è solo Roth: è la storia di una vita, con l'ombra del padre, il grande scrittore Kingsley Amis, la conseguente «gravità di un'infanzia distrutta», le vergognose ma spavaldamente divertenti confessioni di eccessi giovanili, le perdite e le separazioni che punteggiano il suo libro confermano «quanto la morte sia sempre occupata, e quali grandi piani abbia per noi».

E ancora sull'arte della scrittura (scacciare tutti i cliché e ascoltare «i ritmi della tua voce interiore» il sottotitolo del libro è Come scrivere e sulla necessità di fare «sobri, decenti accordi con la morte». Almeo finché possiamo.

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