La camera ardente per Carla Fracci nel ridotto della platea del Teatro alla Scala è un riconoscimento di legame di tutta una vita. Fu concesso a Toscanini, a Victor De Sabata e al nonno di chi vi scrive, Gianandrea Gavazzeni. La Carlina, notata da Luchino Visconti fra le ragazze della fila, promossa da soldato semplice a generale, non era solo una ballerina. Univa a un bagaglio tecnico impeccabile, frutto di anni di studio e di gavetta alla Scuola di danza della Scala, la carica espressiva di una grande attrice. Erano anni in cui Visconti aveva portato nel muffito mondo dell'opera la leggerezza della danza, trasformando La sonnambula di Vincenzo Bellini, appannaggio di floride cocorite, in una filiforme silfide con il genio camaleontico di Maria Callas. Carlina studiava la Callas danzatrice sulle note, quasi una creatura lunare alla Marie Taglioni, e nella sua indimenticabile Giselle portava la sublime Diva greca. Nel balletto La strada incantò l'autore, Nino Rota, il quale chiese a Fellini: «Federico, ma se avessi visto questa (indicando la Fracci in camerino) avresti dato la parte a Giulietta?». Lasciato il posto fisso alla Scala all'apice, portò il balletto ovunque: dai teatri più famosi ai centri considerati secondari, grazie alla collaborazione del marito regista Beppe Menegatti, capace di rinnovare con cultura e raffinatezza gli incontri di Carla con i più affascinanti miti della danza, della poesia, della pittura, della letteratura. Indomita nel lottare contro l'esecrabile liquidazione e l'umiliante marginalizzazione del balletto nelle maggiori fondazioni liriche italiane, lei avrebbe dovuto terminare come Direttrice del Corpo di Ballo scaligero. Turpi viltà impedirono una nomina che era nei fatti: Carla Fracci era la Scala (e di conseguenza Milano), come diranno oggi i tanti disinformati dell'ultima ora e i coccodrilli che non l'hanno sostenuta, o peggio l'hanno osteggiata.
Al congedo non è possibile sottrarsi, ma lo immaginiamo sulle note struggenti del motivo di Gelsomina, con la tromba o vocalizzato a bocca chiusa. Un groppo alla gola ci serra e, come diceva Fellini, c'ingobbiamo di una malinconia che non ci lascia più.
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