Quando la rivoluzione divora i suoi figli

Finalmente torna, dopo anni d'oblio, un capolavoro come La morte di Danton di Georg Büchner, il più geniale poeta del primo Ottocento. Qui è straordinario il modo in cui questo preromantico traccia magistralmente non solo la storia, ma anche il commento filosofico della rivoluzione francese, coniugando in un paradosso scenico che ha dell'incredibile i personaggi che ci sono stati tramandati dalla storia con lo scandaglio profetico del loro pensiero, in una dinamica che ha dell'incredibile. Così sia Danton, vagliato con robusto realismo da Giuseppe Battiston, sia lo straordinario Robespierre scolpito in plastica evidenza da Paolo Pierobon, mentre tra i due si afferma con sottile irrisione il relativismo di John Payne sarcastico e irridente di Paolo Graziosi conclude perfettamente la traiettoria. In uno spettacolo di formidabile forza evocativa diretto con mano maestra da Mario Martone. Dove le brevi incalzanti sequenze come l'arresto di Danton e dei suoi seguaci, accelerate con empito cinematografico, alludono magistralmente al precipitare della storia verso l'epopea.

Mentre gli oggetti d'uso comune si sottraggono alla citazione d'obbligo figurando, come la ghigliottina, sullo sfondo, lasciando la regia aprirsi a corolla al mondo contemporaneo nell'episodio della veemente allocuzione di Robespierre, con le quinte che ospitano insieme i caduti della Storia e coloro che al momento li sopraffanno. Il che spalanca un'inquietante interrogativo sulla liceità della Rivoluzione.MORTE DI DANTON - Milano, Piccolo Teatro Strehler, dall'1 al 13 marzo.

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