Richard Mason racconta l'epopea di un bianco perduto nell'Africa nera

Il romanziere di origini sudafricane pubblica «Il respiro della notte». Un'avventura mortale nei misteri della giungla

Richard Mason racconta l'epopea di un bianco perduto nell'Africa nera

A volte capita che uno scrittore decida di mettersi in gioco, di vivere un'esperienza solo per poterne scrivere. È il caso di Richard Mason e del suo ultimo romanzo Il respiro della notte (trad. di M. Capuani, Codice, pagg. 468, euro 19,90), che presenterà al Festivaletteratura di Mantova questa domenica (ore 17, palazzo San Sebastiano; oggi invece alle 21 e 30 parlerà di musica al Conservatorio Lucio Campiani). Sudafricano di Johannesburg, classe 1978, Mason è cresciuto come un bambino bianco durante l'apartheid e poco o nulla poteva immaginare delle tribù sudafricane: «Per essere in grado di creare personaggi tridimensionali e condurre i miei lettori in un mondo a parte, ho vissuto in un villaggio Xhosa per un anno e lì ho fondato una business school rurale», ci racconta Mason, acclamato autore di Anime alla deriva e Noi (entrambi Einaudi). «L'esperienza è stata sconvolgente, brillante, brutale. Proprio come Piet Barol, ero un uomo bianco, in un villaggio africano, che cerca di negoziare per il territorio».

Piet Barol è il protagonista de Il respiro della notte e anche del suo prequel, Alla ricerca del piacere (Einaudi) e tra i due romanzi passano dieci anni: a 24, bello, scaltro e opportunista, figlio di un impiegato e di una maestra di canto, si muove ad Amsterdam durante la Belle Epoque, si mette al servizio, come tutore, in una delle famiglie più ricche della città e distribuisce fascino magnetico tra femmine e fanciulli disgraziati. A 34, nel luglio 1914, Piet che ancora trasuda «fegato, carisma e sex appeal» ma è piegato dagli eventi - si è rifugiato in Sudafrica e ha passato ormai anni a Cape Town tra salotti esclusivi e bella vita insieme alla splendida moglie Stacey, cantante lirica. Ora però, anche a causa di una serie infinita di bugie, ha i creditori alle porte ed è costretto ad avventurarsi nella foresta al seguito di due guide bantu alla ricerca di legname prezioso gratis. Le guide sono convinte che tra gli alberi vivano gli spiriti sacri e presto l'oscurità e il mistero del luogo inquineranno le azioni di tutti. Non a caso il titolo originale è Chi ha ucciso Piet Barol?: «La prima volta che il personaggio di Barol è apparso nella mia mente, sapevo già come sarebbe morto» spiega Mason. «E sapevo che quella morte sarebbe stata straordinaria. Volevo farne uno di quegli avventurieri europei che negli ultimi duecento anni hanno avuto l'Africa come obiettivo. Uomini e donne di incredibile talento, potere e coraggio, capaci di molte cose meravigliose e altre esecrabili».

Mason è arrivato alla maturità di scrittore con più di un dramma alle spalle: il suicidio della sorella, cui ha dedicato la Kay Mason Foundation, sostenuta da Desmond Tutu, e un esordio folgorante, a ventidue anni, che lo ha quasi ucciso: «Feci così tanti tour e interviste che non avevo più tempo per me. Crescevo troppo in fretta e un cervello creative ha bisogno di cure. Le conseguenze furono buie». E tentò il suicidio. «Ora prendo la vita più serenamente, faccio esercizio, vedo uno psichiatra, dormo otto ore per notte e cerco di mantenere l'umore stabile, anche grazie alla meditazione». E alla vita semplice: le avventure del Piet Barol giovane, quelle di Alla ricerca del piacere, le aveva interamente scritte a mano, in un grande quaderno in pelle blu.

Anche stavolta è stato così o si è convertito al computer? «Non credo che Word sia uno strumento adatto alla fiction. Incoraggia la prolissità, le rifiniture. Stavolta ho usato una macchina da scrivere elettrica Brother, del 1982. Mi lascia nelle mani la sensazione fisica di aver scritto davvero».

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