Risse, segreti e bugie di John Cassavetes, l'antieroe del cinema

Carattere difficile, genio cristallino: ecco chi era l'uomo che prese a pugni il produttore più potente di Hollywood

Risse, segreti e bugie di John Cassavetes, l'antieroe del cinema

John Cassavetes era testardo, attaccabrighe, bugiardo, inaffidabile, giocatore incallito, imbroglione. Prendendo a pugni il famoso produttore Stanley Kramer si giocò ben presto la carriera da regista presso gli studios. Cassavetes pretendeva un controllo totale sulle sue opere: dalla stesura della sceneggiatura alla fase di montaggio. Intervenire a sua insaputa per rendere il film più «sentimentale» costituiva un atto di assoluta gravità. Questo accadde con il suo terzo film Gli esclusi (1963) e questo portò alla scazzottata con Kramer. La sua attività di regista si svolse ai margini del sistema hollywoodiano, ma rifiutò sempre il ruolo di icona del cinema indipendente. Il suo unico obiettivo era la sincerità. Rifuggiva da qualsiasi intellettualismo. La prima versione di Ombre (1959) - l'opera con cui esordì dietro la macchina da presa - a suo giudizio era «un film totalmente intellettuale e perciò molto poco umano … Era pieno di quello che si potrebbe chiamare virtuosismo cinematografico, ma non aveva nulla a che fare con le persone». Così decise di rigirarlo. Cassavetes era un artigiano, che ricercava la spontaneità e la verità, contro qualsiasi formalismo e leziosità. Lo imbarazzarono gli elogi che ricevette per Ombre. Kurosawa cercò d'incontrarlo per complimentarsi degli aspetti «rivoluzionari» del film. Lui riuscì a evitarlo: quegli aspetti erano frutto del caso e della sua inesperienza come regista. Come affermò lui stesso a fine carriera: «Credo che sarò ricordato come attore. Non come regista» (recitò in opere di successo tra cui Quella sporca dozzina, Rosemary's Baby e Gli intoccabili).

A raccontare questi aneddoti è Ray Carney nel suo John Cassavetes: un'autobiografia postuma (minimumfax, pagg. 534, euro 18). Carney è uno dei maggiori studiosi dell'opera di Cassavetes. In questo libro taglia e cuce dichiarazioni, interviste, articoli, conversazioni in cui Cassavetes racconta la propria vita e i propri film. Carney inserisce poi numerosi passaggi di raccordo, che rendono la narrazione lineare.

La vita e l'opera di Cassavetes rappresentano la medesima cosa: non riusciva a staccarsi dal proprio lavoro, e nei propri film riversava la propria esistenza. Non aveva un carattere facile, ma aveva un vitalismo contagioso, una dedizione unica verso la sua professione, una integrità fuori dal comune. Rifiutò sempre di prendere posizioni «politiche». Non firmò mai appelli. «Non posso paragonare le mie opere alla perfezione patinata di un film politico, perché odio i film politici; non posso paragonarle alle pretenziosità di un film d'arte, perché odio i film d'arte. I miei sono solo film diretti, sinceri, che parlano di cose che non sappiamo». Durante gli anni della controcultura, della guerra in Vietnam e di Easy Rider scrisse e diresse film «privati», incentrati sulla vita quotidiana delle persone. Volti (1968) e Una moglie (1975) raccontano le difficoltà del vivere all'interno di una tipica istituzione borghese: il matrimonio (lui stesso visse per tutta la vita a fianco di un'unica donna: Gena Rowlands; e insieme ebbero tre figli). Cassavetes pensava che il suo pubblico non fosse la gente comune. Preferiva attori poco conosciuti o non professionisti, voleva troupe ridotte all'osso per ottenere verità nella recitazione. Girava ore e ore di pellicola. Montava e rimontava i film all'infinito. Non diceva mai agli attori come dovevano interpretare le scene, ma parlava per ore con loro per farli entrare nella parte.

Realizzò dodici titoli come regista; pochi ottennero buoni incassi. Ogni film aveva una gestazione complicata per la mancanza di denaro. Arrivò a ipotecare la casa. A proposito della sua casa a un intervistatore disse: «Quando l'ho presa ne possedevo 50 mila dollari; e ora, trent'anni dopo, ne possiedo ancora 50 mila.

Cosa ti dice questo sulla mia carriera?». Per i critici americani era «semianalfabeta, autocompiaciuto, incentrato unicamente sugli attori, incapace di raccontare una semplice storia». Nei suoi film vi sono i sentimenti, i sogni e i desideri delle persone.

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