Strano romanzo di un grande autore di teatro. Nel 1934 Brecht, ormai in esilio, ritorna al grande tema inscenato nell'Opera da tre soldi, che coronò, il 31 agosto 1928, il suo massimo successo teatrale. Si trattava di un dramma che si rifaceva a The Beggar's Opera, la celebre ballad opera settecentesca, che Brecht seppe riadattare con gli strepitosi songs musicati da Kurt Weill. Il successo fu tale che Brecht rielaborò personaggi e la trama per il romanzo omonimo, composto giusto otto anni dopo il dramma, in una situazione politica (ed esistenziale) completamente mutata: Hitler era salito al potere e lo scrittore aveva dovuto abbandonare in tutta fretta Berlino dove tornò solo nel 1948, accettando l'invito di dirigere il Berliner Ensemble nel settore sovietico (che nel 1949 si trasformò nella Repubblica Democratica Tedesca). Ora Il romanzo da tre soldi viene proposto da L'Orma editrice in una stupenda traduzione a cura di Franco Fortini e di Ruth Leiser (pagg. 408, euro 23).
Il testo si legge d'un fiato: siamo sempre a Londra, ma all'inizio del 900, al tempo della guerra contro i boeri. Gli ingredienti sono quelli della satira, intessuta in una trama che sconfina nel romanzo poliziesco, che Brecht molto amava. I vari crimini e assassinii sono tutti «giustificati» dall'ingegnoso ingranaggio del capitalismo nella sua fase eroica dell'accumulazione del capitale. La topografia letteraria ricorda molto la Londra di Dickens, così la descrizione strappacuore dell'immensa miseria di una umanità di poveri, miseri, invalidi, derelitti. Una vera fenomenologia del Lumpenproletariat, raffigurato senza orpelli e senza edulcorazioni umanitarie. Da una parte i vinti della lotta della vita, dall'altra i pescecani, con le loro biografie criminali. Infatti ritroviamo i personaggi dell'Opera, dal bandito Macheath (quello dell'indimenticabile Moritat von Mackie Messer) a Mister Peachum, ormai in bombetta vittoriana, ma sempre sfruttatore di medicanti, insieme con Mrs Peachum, allegra bevitrice, e soprattutto con la figlia Polly, detta per la sua seducente carnagione Peach, «Pesca», che, ancorché simpaticamente sgualdrina, sposa, ovviamente «per amore», Macheath, che ha messo da parte coltello e pugnale per concentrarsi solo sugli «affari» in vero assai particolari: dirige una specie di cooperativa di piccole botteghe che tengono prezzi molto bassi. Infatti la merce proviene da furti della banda. Insomma il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Macheath frequenta, ormai, banchieri, lord, grandi commercianti, alti funzionari di polizia, ma non trascura i colleghi della mala. Parimenti si snoda l'ascesa di Mr. Peachum che, da bravo affarista, genio della propaganda demagogica e della pubblicità, tenta l'ascesa sociale anche tramite il progettato matrimonio con un affarista della figlia Polly, che, però, se ne fugge con Macheath.
Tutto sembra precipitare nelle lotte tra affaristi. Poi torna la pace; è bastato uccidere uno dei concorrenti, quello più infido, che aveva contatti con il ministero della Marina per l'acquisto facilitato da cospicue bustarelle - di vecchi piroscafi per il trasporto delle truppe. Purtroppo una delle navi affonda, appena salpata, già nella Manica.
In realtà la trama è scontata con una efficace rappresentazione dei Lumpen, i poveracci, e i capitalisti. L'autore accenna fuggevolmente anche a degli operai comunisti, molto sullo sfondo, mentre la sua sapienza è incentrata sulla rappresentazione delle trame affaristiche, sempre radicate nella malavita. La scena finale è quella della cerimonia funebre per i soldati morti annegati, in una Londra immersa simbolicamente in una nebbia così fitta che i vari personaggi si perdono per ritrovarsi infine alla predica del Vescovo, basata su un'esegesi della parabola dei talenti in chiave molto capitalistica.
Tutto termina in un ristorante dove i vari personaggi festeggiano con grandi discorsi di edificazione morale l'accordo raggiunto, inevitabile tra gentlemen. Vi è un ulteriore finale: il sogno del più sfortunato tra i personaggi, Fewkoombey, invalido di guerra, mendicante, e infine assassino, con la sua gamba di legno usata per ammazzare il capitalista più scomodo per gli affaristi. Nell'epilogo lui sogna di essere il giudice supremo del Tribunale della storia. Viene chiamato a comparire l'autore di quella parabola dei talenti che aveva costituito la sovrastruttura dell'immane ingiustizia della storia. Qui affiorano il pauperismo e la dialettica marxista di quegli anni Trenta, ma è tutto un sogno avvolto in una intrigante satira dei costumi.
Senza il suo teatro, senza le sue poesie, Brecht non sarebbe ricordato per questo romanzo eppure, conoscendo il suo teatro e le sue poesie, questo romanzo costituisce un assai serio divertissement.
Il testo si conclude con un sapiente saggio critico di Walter Benjamin, tradotto da Marco Federici Solari, che costituisce una valida interpretazione del romanzo e nello stesso tempo una conferma del periodo «marxista» del critico berlinese, che in quegli anni era molto legato a Brecht, che visitò a Svendborg, su un'isoletta danese, proprio quando Brecht era alle prese con il romanzo. Vi è una foto che li ritrae che giocano a scacchi; Brecht fuma il suo amato sigaro (come Macheath) e Benjamin aspetta la mossa, pensoso.
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