"Sì, mi sento orfano della Luna... Ci hanno rubato il mito 50 anni fa"

L'attore nel Cretto di Gibellina porta in scena un «controcanto» dell'impresa dell'Apollo 11

"Sì, mi sento orfano della Luna... Ci hanno rubato il mito 50 anni fa"

Un grande balzo per l'umanità? O un salto dentro la malasorte? Nel coro di voci che quest'estate ha intonato le celebrazioni per cinquant'anni della discesa dell'uomo sulla Luna, ecco alzarsene una imprevedibilmente stonata. Quella di Rocco Papaleo. O meglio: quella dei poeti e degli intellettuali che nel 1969, tutt'altro che sedotti dall'impresa dell'«Apollo 11», ferocemente stigmatizzarono quel prodigio della tecnologia. E che l'attore lucano, assieme alla Sicilian Improvisers Orchestra, riprenderà in Il Lunario: lo spettacolo con cui l'11 agosto, nel pallido scenario del Cretto di Burri, chiuderà le «Orestiadi» di Gibellina.

«Osservatorio poetico per amanti della Luna», recita il sottotitolo di questo curioso spettacolo.

«Sì, perché dà voce a quanti (e non furono pochi) nell'impresa del 21 luglio 1969 videro una iattura sentimentale e poetica. Tutto parte dalla Difesa della Luna con cui Guido Ceronetti lanciò un'autentica invettiva: per lui si stava profanando un simbolo della fantasia e della poesia umana; addirittura s'inaugurava un'epoca del malaugurio. Gli fece eco Giorgio Manganelli, che nel Lunario dell'orfano sannita rincarò la dose: la storica impresa era solo una macchinazione militare e pubblicitaria che trasformava una metafora dei sogni umani in un semplice, grigio, desolato macigno scagliato nel nulla».

Accanto alle critiche, nel Lunario Lei interpreterà anche appassionate pagine d'amore per la Luna.

«Proprio per sottolineare il punto di vista di chi, in quel satellite, vedeva soprattutto una proiezione dei desideri umani, della nostra aspirazione alla purezza. Ecco allora Pasolini, che scrive le parole di Cosa sono le nuvole, musicata da Domenico Modugno; ecco le invocazioni alla Luna di Leopardi, Ungaretti, Campana. Ed ecco lo scenario più lunare che esista: lo sbalorditivo Cretto ottantamila metri quadrati di macerie del terremoto di Gibellina, che Burri compattò e cementificò, trasformandole in un'immensa, bianca distesa di crateri e fratture - come insolito palco per il nostro recital».

Ma per Rocco Papaleo, che nel 1969 aveva 10 anni, cosa rappresentò la storica «notte della luna»?

«Ah: una delle più grandi emozioni della mia vita! Come il primo giorno di scuola; come il primo bacio. La seguii anch'io davanti alla tv, con tutta la famiglia. Un momento privato ma condiviso con milioni di altre persone in tutto il mondo. Certo: da artista devo riconoscere che quando un mito inaccessibile viene violato, una parte del suo fascino se ne va. Ma basta una eclissi e tac - la magia della Luna, il mistero dell'universo tornano a colpirci».

Oltre a recitare, in questo spettacolo Lei canterà: una passione che per Lei è ormai una sorta di carriera parallela.

«Quella del teatro canzone, secondo la concezione di Giorgio Gaber che mescola brani d'autore a testi poetici o polemici, è la mia corda segreta, la preferita: il mio vero me stesso. La pratico da venticinque anni. Mi fa muovere su due binari paralleli: recitazione e canto. E mi permette di sviluppare come nello show Basilicata coast to coast, che presto riprenderò - un rapporto diretto e molto intimo con il pubblico».

A proposito di canzone: dopo il notevole successo personale che ebbe conducendo il Sanremo 2012, molti si sono stupiti che Lei non abbia subito capitalizzato quella popolarità, soprattutto in progetti televisivi.

«In parte non ho voluto; in parte non ho potuto. In fondo sono un artista un po' anomalo, molto irregolare... e poi stavo preparando il mio secondo film. C'è anche da dire che progetti televisivi dell'appeal di Sanremo non capitano tutti i giorni. Ma non sto facendo il prezioso. Per esempio mi piacerebbe molto girare della fiction. Tutti mi chiedono: perché non la fai? Semplice: perché non me la propongono».

E poi ora c'è la sua nuova passione: quella della regia, che Lei ha già espresso in tre film.

«Questa sì che è una passione! Tale da indebolire quasi quella per la recitazione. Ora che l'ho scoperta, la regia non riesco più ad abbandonarla: quando vengo diretto da altri vorrei sempre mettere bocca. Recentemente ho dovuto fare una gran fatica, a trattenermi.

Prima con Matteo Garrone, sul set del Pinocchio in cui interpreto il Gatto (mentre la Volpe è Massimo Ceccherini); e poi con Carlo Verdone, che assieme ad Anna Foglietta e Max Tortora mi ha diretto nella sua nuova commedia, Si vive una volta sola. Per fortuna ho già il progetto per un quarto film mio, che metterò in cantiere fra un anno e mezzo. Allora nessuno dovrà più fermarmi».

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