«Che c'è? Ho detto forse qualcosa che non va?». E dopo l'ennesima uscita informale (per usare un eufemismo) Marco Giallini interroga con gli occhi il direttore di Raidue e il direttore di Rai Fiction, suoi divertiti compagni di conferenza stampa. Niente paura: l'interprete di Rocco Schiavone è davvero identico come tutti dicono - al suo personaggio. E i dirigenti di viale Mazzini sono lieti di perdonarne le ruvide ma irresistibili sconvenienze. Non è proprio questo, in fondo, il segreto del successo dell'anticonvenzionale poliziotto che la scorsa stagione ha reso popolare l'attore romano, e che da mercoledì 17 per quattro serate (dopo l'anteprima di stasera su Raiplay) tornerà su Raidue?
Dica un po', Giallini: è nato prima lei o prima Rocco Schiavone?
«Si, si, lo so: il personaggio mi è talmente simile da porre il dubbio. Ma l'autore dei gialli da cui è tratto, Antonio Manzini, l'ha inventato senza conoscermi. Anche se con questo tipaccio spigoloso e dal doloroso passato, confinato nella gelida Aosta, ho in comune il carattere ispido, e il linguaggio diretto».
Anche il cuor d'oro sotto la ruvida scorza?
«Anche, anche. Ad esempio credo di essere un buon padre. Dopo la scomparsa di mia moglie ho tirato su da solo i miei due figli. E oggi siamo una cosa sola, noi tre. Credo anzi di dovermi fare i complimenti da solo».
Lei è un lettore di gialli: ama più i meccanismi alla Agatha Christie o le atmosfere alla Simenon?
«Io i gialli li divoro. Elmore Leonard, maestro del noir; Eddie Bunker, ex criminale divenuto scrittore; e Simenon, naturalmente. Io guardo soprattutto al protagonista. È la sua psicologia, la sua umanità, ad intrigarmi. E cerco anzi di dargli vita, come fosse l'interprete di un film, nel momento stesso in cui lo leggo».
E visto che gli somiglia tanto, ora che il personaggio torna raccontando le ferite del proprio passato, e anche una nascosta verità, cosa gli ha aggiunto di suo?
«La mia faccia. Cioè quel che sono. Come diceva qualcuno un filo più basso, ma molto più grande di me (Marcello Mastroianni): Sono io, che faccio il personaggio. Dunque è inevitabile che il personaggio divenga io stesso. E poi fra me e Schiavone c'è un'altra grave esperienza che ci accomuna».
Allude al dramma, che anche lei ha vissuto, della prematura scomparsa di sua moglie?
«Voi giornalisti siete molto carini a non parlarmene. Ma chi ha vissuto un'esperienza simile (e io non sono certamente il solo) per forza la mette al centro della sua esistenza. Così ho fatto io, così fa Schiavone. L'argomento della prima puntata, anzi, è proprio questo: il peso del ricordo. È vero che più passa il tempo più il ricordo si allontana? Ebbene: posso dirlo per esperienza diretta. No: non è vero. Non si allontana per niente. Io a mia moglie ci penso sempre. E continuerò a farlo sempre, fino alla mia morte».
Tuttavia certi atteggiamenti disinvolti del suo Schiavone hanno anche sollevato polemiche: il sindacato di Polizia l'accusò di aver commesso, in tre puntate, reati da 28 anni di galera.
«Ma se ogni volta che li incontro i poliziotti mi fanno le feste!».
Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi, poi, avevano presentato un'interpellanza parlamentare a causa della marijuana che Schiavone fuma come piovesse.
«Sull'argomento ognuno può pensarla come vuole. Delle polemiche io non mi sono neanche accorto. Ma non direi che Schiavone sia molto cambiato. Il personaggio è quello. Forse si fa un paio di canne in meno».
Ma non trova sia diseducativo presentare in tv l'immagine di un tutore della legge che si droga?
«Il problema nemmeno me lo pongo.
Come fa ad essere diseducativa una cosa che fanno tutti, e i ragazzini già a 12 anni? Beh... magari non proprio a quell'età e non proprio tutti. Comunque, se in tv io vedo una questura dove ci sono cento poliziotti, nessuno dei quali si fa una canna, io spengo la tv».
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