Will Smith diserta la sala stampa. Il miglior attore non ha voluto affrontare i giornalisti dopo lo schiaffo in diretta a Chris Rock. Arriveranno invece, alla spicciolata tutti gli altri: Jessica Chastain, migliore attrice protagonista per Gli occhi di Tammy Faye. «È la prima volta che stringo un Oscar fra le mani, sono stata a casa di Eddie Redmayne a Londra e per superstizione non ho toccato il suo Oscar».
Sul palco aveva fatto un commovente discorso sul periodo che stiamo vivendo, sull'isolamento degli ultimi due anni e il rischio suicidi in America «Più alto che altrove. Molte famiglie ne sono colpite, la mia famiglia lo è stata», ha detto, riferendosi alla sorella morta suicida nel 2003.
Jane Campion, terza donna ad ottenere l'Oscar alla regia dopo Kathryn Bigelow nel 2008 e Chloé Zhao l'anno scorso, si augura: «Spero solo di essere seguita da una quarta, quinta, sesta, settima e ottava». Non è il primo Oscar per la regista neozelandese che 27 anni fa otteneva la statuetta per la sceneggiatura di Lezioni di Piano: «Allora avevo mia figlia nella pancia». Sian Heder, regista e sceneggiatrice di Coda - I segni del cuore, il film che ha vinto tantissimo, tre Oscar su tre nomination, miglior film, migliore sceneggiatura non originale e migliore attore non protagonista, racconta: «Sono cresciuta vedendo i film di Jane Campion sapevo di potercela fare perché ho visto altre donne farcela. Questo è un gran momento per i film indipendenti e per le donne filmmaker». Coda è l'acronimo di Children of Deaf Adults e racconta la storia di una ragazza che scopre la sua voce e il talento per la musica pur essendo cresciuta in una casa muta. Trentacinque anni fa Marlee Matlin, che nel film interpreta la madre della protagonista, vinse per Figli di un dio minore. «Allora fu lasciata sola continua Sian Heder era l'unica rappresentante di un mondo. Ora le cose stanno cambiando».
Hollywood vuole cambiare. Vuole più inclusività, colore, diversità, tolleranza. Lo vuole con tanta forza che qualcuno inizia a chiedersi se la qualità non sia diventata il valore meno importante. Paolo Sorrentino non raccoglie provocazioni. Il suo È stata la mano di Dio ha perso contro il giapponese Drive my car ma per il regista napoletano quella vittoria è più che meritata.
«Partivo già in panchina e va bene così. Per me una seconda candidatura agli Oscar è già una grande vittoria, significa che la prima (concretizzata con l'Oscar per La grande bellezza, ndr) non è stata un colpo di fortuna».
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