Spettacoli

I guai del cronista non interessano ai lettori. Di solito non interessano neppure ai colleghi... Ma a volte le difficoltà che tocca affrontare segnalano tendenze che travalicano i confini del mondo dell’informazione. Per esempio, quando si dice che gli uomini dello spettacolo si comportano da star, da principi inarrivabili... Ecco: lo si capisce dai filtri che si devono superare per avere, dall’alto, un monosillabo di risposta. Quale che sia. Gradini da salire, prima di arrivare lassù, al verdetto di lorsignori, soprattutto quelli più giovani: addetti stampa, parrucchieri, agenti, assistenti, persino avvocati. In una parola: la burocrazia della comunicazione.
Ad esempio, per realizzare una breve intervista telefonica su una materia leggera, roba di un quarto d’ora, al bravissimo comico Enrico Brignano, non basta rimbalzare da un’addetta stampa («deve parlare con... ora le do il numero») a un’assistente («non vorrei scavalcare nessuno, è meglio che parli con...») a un’altra ancora («Brignano sta girando, è irraggiungibile, io stessa lo cerco da tre giorni»). Non serve coinvolgere un collega più in confidenza con una delle interlocutrici. Né sottolineare che l’intervista prende spunto proprio dal titolo del suo show, tornato illuminante per un fatto di cronaca. E neppure è sufficiente scoprire con fatica che il comico romano si trova sull’Oceano indiano, né appurare che forse... mandando le domande per e-mail alla prima assistente che gli avrebbe inoltrato il tutto... nel caso lui fosse riuscito a connettersi... «però oggi è molto improbabile, magari domani o dopodomani». Alla fine, dopo qualche telefonata di verifica e di sollecito, niente da fare.
Esempio numero due. Per avere un breve colloquio telefonico su un tema di costume, sempre roba di un quarto d’ora, col bravissimo attore Claudio Amendola, si deve passare dalla segreteria di uno studio legale. Veramente. Bisogna mandare una mail con l’argomento dell’intervista, sperare che il titolare dello studio la legga appena è arrivata e che ne parli a stretto giro con il suo assistito per poi decidere insieme il da farsi.
Niente da dire, ci saranno dei buoni motivi per attivare dei sistemi di protezione tanto impenetrabili. Ma parlare con le superstar dello spettacolo non può diventare più difficile che contattare il Quirinale. Parlare, poi. Il giornalista si accontenta (si deve accontentare) di sapere al più presto (in particolare se lavora per un quotidiano) se la persona che cerca vuole farsi intervistare o no. Perché il diritto di negarsi ai media non viene minimamente messo in discussione.
In questione, invece, è la burocratizzazione di rapporti che dovrebbero essere un tantino più diretti. O gestiti da persone che sanno come funzionano i mezzi d’informazione e che colgono al volo ogni occasione che possa dare visibilità positiva. Quando a fare da filtro fra i giornalisti e i personaggi dello spettacolo ci sono le strutture gerarchizzate (che avranno anche i loro lati positivi ma non brillano per prontezza di riflessi) o ci si mettono gli avvocati (che giustamente vogliono fare le cose per bene, con grande attenzione a ogni minimo particolare) o i parrucchieri (esperti di tinture e sfumature, un po’ meno di notizie), non resta che arrendersi.
Ricordando tuttavia che molti artisti di lungo corso - più scafati, più educati, più alla mano, vai a sapere - si comportano in modo diverso. Mogol, Pupi Avati, Renzo Arbore, Lino Banfi...

Li chiami al telefono e di solito rispondono, proprio loro; prima ascoltano ed eventualmente chiedono, scusandosi, se li puoi richiamare fra mezz’ora; e poi dicono se hanno voglia di parlare oppure no. Fantascienza: altro che Avatar.

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