Una storia horror sussurrata all'orecchio, un giallo che si srotola parola per parola, una biografia raccontata con passione o una lezione di marketing da ascoltare mentre si fa ginnastica, si cucina o si prende la metropolitana. Apri l'app, scegli la storia, clicchi e ascolti una voce subito amica.
Lo Zanichelli l'ha eletta «parola del giorno» il 24 ottobre 2013. Eppure ancora nel 2019 podcast era un termine sconosciuto ai più. Ci sono voluti anni per passare la voce tra le due sponde dell'Atlantico. L'ascolto cresce costante anche in Italia ma ci è voluta l'epidemia di coronavirus per dare un'accelerata. Per i file audio «disponibili su internet e scaricabili, per la riproduzione non in linea», come li definisce il dizionario, gli ascolti italiani sono saliti del 10 per cento a marzo e del 29 per cento ad aprile, dati Voxnest, big americano del settore. Qualche nome pop, tipo Fedez, si affaccia goffamente nel genere e subito c'è chi grida all'invasione dei barbari e rimpiange i bei tempi in cui ci si ascoltava tra amici.
Eppure le potenzialità sono enormi: il podcast si ascolta da qualunque smartphone o computer. Non è la radio, ma molto di più: la struttura a puntate e la semplicità del mezzo hanno scatenato la fantasia degli autori, stimolando una produzione strabordante. Show di parole, suoni e musica che riesumano la vecchia forma del radiodramma, approfondimenti scientifici o giornalistici, storie di personaggi e di aziende, recensioni di musica e libri, racconti di viaggio. Durante il lockdown il vero boom è stato per la categoria «spiritualità-religione»: ascolti su del 1.500 per cento.
«Non solo sono cresciuti gli ascolti -spiega Tonia Maffeo, responsabile marketing di Spreaker- ma è anche esploso il numero di nuovi creatori di contenuti, magari perché confinati a casa si aveva più tempo». Spreaker è un host, cioè una app, creata a Bologna e poi acquistata da Voxnest, che ospita fisicamente le puntate di un podcast, di gestirle e diffonderle sulle piattaforme più diffuse (Spotify, iTunes, Google podcasts).
In Italia lo stadio di maturazione ricorda le radio libere anni 70: tanta fantasia, tanta improvvisazione, qualche risultato eccellente, pochi soldi. Negli Stati Uniti il podcast è di massa da anni. Prima ha scalzato i blog, poi ha cominciato a raccogliere così tanti fan che il mercato dei contenuti più ricco, quello della tv on demand, ha drizzato le antenne. Su Amazon Prime c'è una serie tv horror, Lore, che nasce dal podcast omonimo. Aaron Mahnke l'ha creato come esperimento di marketing: ha semplicemente cominciato a raccontare storie dark come se si trovasse davanti a un falò in una notte buia. È arrivato a oltre 140 puntate. Ma non è nulla rispetto a quel che è successo a Joe Rogan, comico canadese che conduce uno show pieno di ospiti famosi, stile David Letterman. Il suo The Joe Rogan experience dal 2009 è disponibile gratis su tutte le piattaforme e in versione video su Youtube. Calamita milioni di ascoltatori e Spotify, la società svedese che ha creato l'app della musica legale in streaming, ha appena acquisito in esclusiva lo show di Rogan per oltre 100 milioni di dollari. A colpi di acquisizioni come questa, Spotify ha scalzato Apple nella classifica delle piattaforme più usate per i podcast. Ma c'è chi pensa che la sfida sia appena all'inizio.
Anche il giornalismo ha scoperto il potere dell'audio: quest'anno per la prima volta è stato assegnato il premio Pulitzer a un podcast, This american life, un programma di inchieste di cronaca le cui puntate sono arrivate a totalizzare 300 milioni di download.
E in Italia? L'impennata di ascolti corrisponde a una rincorsa generosa ma anche, per alcuni versi, un po' pasticciona. Pietra miliare è Veleno, la terribile storia di malagiustizia dei «diavoli della Bassa Modenese», una Bibbiano ante litteram. Ma oggi si trovano centinaia di podcast diversi, frutto di autori isolati, case di produzione indipendenti e, in alcuni casi, anche dei primi timidi investimenti di grandi editori, fin qui piuttosto lenti a reagire. Le istituzioni vanno ancor più a rilento. Coraggiosamente, la Corte costituzionale si è gettata nella mischia: a giudicare dal trailer del podcast, voci dei giudici con abbondante effetto riverbero e sullo sfondo una storica canzone di Iva Zanicchi, l'effetto è casareccio, ma almeno ci hanno provato. Del resto, a fronte di un fenomeno in così grande crescita, anche la Siae è un passo indietro. A chi prova a chiedere la registrazione del podcast per tutelarne i diritti, l'ente risponde che «il genere format non è accettabile». Di recente la Siae ha coniato per il podcast la definizione di contenuti che «devono essere tratti da programmazioni di flusso». Uno svarione: cosi si includono solo le repliche di programmi radio e non gli originali pubblicati solo sul web.
E gli autori? Giacomo Zito, creatore della piattaforma «Gli ascoltabili», che vanta un milione di download con la sua serie crime Demoni urbani, è entusiasta dello strumento, ma dubbioso sul suo futuro italiano: «Abbiamo un mercato asfittico, poco capace di dare un valore a ciò che viene da internet e investitori che spesso sviliscono i podcast: ma qualche azienda che ne ha capito le potenzialità c'è». La speranza sono le due piattaforme di audiolibri che includono nell'abbonamento anche un portafoglio di podcast originali: Audible di Amazon e la svedese Storytel.
«Il podcast è un potente strumento emozionale per alcuni tipi di narrazione e tra i nostri utenti c'è una grande richiesta -dice Marco Ragaini di Storytel- la fruizione in abbonamento consente di finanziare produzioni originali ma la remunerazione è ancora un aspetto problematico». Il momento della svolta pare sempre a un passo: restare nicchia o diventare una vera industria culturale. Un bivio appassionante come un podcast.
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