«Vi chiedo un attimo di silenzio! Silenzio, per favore! Questo straordinario ragazzino, signore e signori, ci farà ascoltare adesso il Concerto per pianoforte di Adalbert Gyrowetz. Ricordo a tutti la sua età, non ha che otto anni. Ma ve ne dimenticherete, la sua capacità di suonare è senza tempo. Prego, Fryderyk, puoi sedere al piano e cominciare.»
«No, non sono agitato. Non come avevo creduto. Non ci sei mamma, dovevi essere qui. Non ci sei nemmeno tu, mio buon vecchio Pawel. Dovresti vedermi questa sera. Non so perché, ma ho la netta sensazione che tu mi veda. Sai che ricordo bene ciò che mi dicesti quella notte sotto la grande quercia? Chi ti ascolta vuol essere stupito. Non eccedere con le raffinatezze, ma rendile visibili, il pubblico le desidera, ama eccitarsi.' Visto, Pawel? Ho dentro di me ogni tua parola. È la mia prima volta, e forse tu sei il solo che l'ha già vista. Fa' apparire tutto naturale. Chi ti guarda deve credere che il talento sgorghi continuamente dall'anima. Chi ti guarda deve crederti un dio, non un uomo.' E adesso ci siamo».
«Chopinet! Chopinet!» Lo acclamano così. Venti minuti dopo, il pubblico è tutto in piedi. Applaude come se non avesse mai visto né immaginato ciò che ha appena visto e ascoltato. Quel bambino non è un prodigio, è semplicemente un pianista meraviglioso, un esecutore divino. Nicolas Chopin è in lacrime, in piedi senza neppure la forza per applaudire. Guarda suo figlio sul palco, guarda l'ammirazione di chi gli sta intorno. Wojciech Zywny piange sotto la sua parrucca rossa. Ha pianto spesso, nella sua vita. Non avrebbe mai creduto di poter piangere per l'esibizione di un suo allievo. Agli allievi si infila la matita nei polpastrelli quando sbagliano, non si dedica la propria anima come gli accade in questo preciso istante. Lui che l'anima era certo di non averla più, certo di averla lasciata alle sue spalle, nel dolore del suo passato. Non ci si crede, vero, mio vecchio e buon Wojciech? Adesso anche quel dolore sembra attenuato. È un altro prodigio di Chopinet.
***
«Dovevi vederlo, Justyna, dovevi vederlo. Sembrava che su quel palco ci fosse già salito cento volte. Non era un bambino che debuttava, era un concertista vero. Per come suonava e per la posa che è riuscito a darsi. Serio, convincente, padrone di sé...»
«Smettila, adesso, Nicolas.»
«Perché?»
«Non ce la faccio a sentirti. È un'emozione troppo forte, una specie di assalto che avverto dentro. Non so controllarlo, mi fa quasi male.»
È in lacrime. In lacrime da almeno un'ora, da quando cioè Nicolas si è ripresentato a casa con dei mazzi di fiori e un entusiasmo incontenibile.
«Questi glieli hanno lanciati appena l'esibizione è finita. Ma cosa credi? Sono solo una piccola parte. Quel palco era tutto invaso dai fiori. Ma tutto! Justyna, gli spettatori sono impazziti. E ti assicuro che prima circolava nella sala molta diffidenza. Li ho sentiti con le mie orecchie, li ho sentiti quando dicevano: Ha solo otto anni, è un bambino, e il pianoforte è uno strumento troppo complesso. Non capisco perché organizzino certi spettacoli. Per non parlare dei genitori, che fanno esibire i loro bambini come le scimmie al circo per guadagnarsi qualche soldo. E sorridevano, sollevavano le spalle. Non immaginavano, quegli stolti, non potevano immaginare nemmeno lontanamente di cosa è capace Fritz. Il nostro piccolo grande Fritz. Ma hanno dovuto ingoiarsi tutto, Justyna. Più erano diffidenti, più erano increduli, più alla fine si sono fatti le mani bollenti a furia di applaudirlo. Avevano gli occhi lucidi. Tutti, te l'ho già detto. Tutti! Mezz'ora di applausi, non smettevano...»
«Per favore, Nicolas, non continuare. Quando lo riaccompagneranno a casa, quando Fritz sarà qui, facciamogli sentire che la sua casa è rimasta quella di sempre, che qui non è cambiato niente. Fuori ci saranno pure Varsavia, la Polonia, il mondo che lo applaudono, che lo acclamano. Ma tra queste mura ci siamo solo noi. Noi due e le sue sorelle. Tutto come sempre, tutto come prima.»
«Sì, hai ragione, Justyna. Tutto come prima.»
***
È notte fonda. È passata da una decina di minuti l'una, quando una carrozza si ferma all'altezza del portone di Palazzo Kazymierzowski.
«Buonanotte, Chopinet! E ricorda, domani o al massimo giovedì.»
«D'accordo, buonanotte!»
Fryderyk sale i gradini che lo conducono al suo appartamento. Nicolas è già a letto. Ma sveglio, sveglissimo. Non si dorme dopo una serata così. Mamma è seduta sulla poltrona che guarda verso il caminetto. Si vede anche in quel semibuio che fatica a trattenere il pianto, che sta sforzandosi di mostrare un'espressione che appaia naturale.
«Ciao, Fritz. Hai fame o ti hanno fatto mangiare qualcosa?»
Fryderyk è stupito. Perché mamma non mi chiede nulla? Possibile che non voglia sapere? Proprio lei? La guarda. Vede che lei volta bruscamente il viso per nascondere la commozione che le brucia dentro. E allora la abbraccia. È stato adulto sul palco, è stato adulto quando ha suonato e quando ha raccolto l'ovazione. Può continuare per una notte a essere adulto anche coi suoi genitori.
«Non sei curiosa?»
Justyna è crollata. Adesso riesce solo a piangere.
«Sono curiosa in modo folle, cucciolo mio. Ma ricorda sempre che non m'importa di questo concerto e degli altri mille che farai. Mi importa di te. Tu sarai sempre il mio Fritz.»
Hanno deciso che per stanotte le parole non saranno troppe. In quell'abbraccio, ciascuno dei due ha messo i discorsi che aveva in mente. I più autentici.
«Dimmi solo che cosa ti hanno chiesto, Fritz. Cosa hanno ammirato di più?»
Fryderyk la guarda, ammorbidisce le labbra in un sorriso. Poi torna serio.
«Il colletto bianco che mi hai inamidato tu, mamma.»
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