Villaggio in arte Fantozzi Un docufilm celebra il suo genio narrativo

Mario Sesti racconta bene (e senza retorica) la rivoluzione creata dai personaggi del comico

Villaggio in arte Fantozzi Un docufilm celebra il suo genio narrativo

Venezia - Per iniziare: due rivelazioni, fra le tante. La prima, a inizio documentario, la spiffera, dopo molti anni, il Mega Direttore Galattico Paolo Paoloni: «Quello strano ragioniere lo assunsi perché mi fu raccomandato dal capo dell'Ufficio Ricatti, che per primo mi fece il suo nome... Fantocci... Bombacci... Fantozzi!». La seconda, verso la fine, la butta lì il sociologo Domenico De Masi, il cui padre lavorava all'Italsider, quando Paolo Villaggio passò dagli stessi uffici come impiegato: è probabile che il nome Fantozzi fu scelto dall'attore come vendetta nei confronti di un certo Fantoli, all'epoca super-manager del mega gruppo siderurgico.

Il primo aneddoto è pura invenzione narrativa, naturalmente, ma è verosimile: bene risponde alla clamorosa attitudine al servilismo maturata da Fantozzi ragioner Ugo in trent'anni di pervicaci umiliazioni. Il secondo scoop, da una testimonianza reale, forse è solo una suggestione. Ma cosa importa? Difficile distinguere tra realtà e finzione nella vita e nell'opera di Fantozzi e del suo alter ego Villaggio (o è il contrario?).

E tra la finzione letterario - cinematografica della più grande maschera clownesca del costume nazionale post-Boom economico e le vicende famigliari - lavorative di uno dei massimi autori comici del nostro secondo '900, procede alternando disegni animali, testimonianze di amici e colleghi e spezzoni di una vecchia intervista allo stesso Paolo Villaggio il docufilm La voce di Fantozzi del critico e regista Mario Sesti. Il quale iniziò a lavorare al progetto un anno e mezzo fa e lo ha finito di montare dopo la morte dell'attore, due mesi fa, giusto in tempo per la Mostra del cinema di Venezia. Dove è stato presentato ieri, tra applausi commossi e mal trattenute risate.

Commossi e sorridenti, nel film su Villaggio - Fantozzi parlano in tanti: Roberto Benigni che ne fa l'apologia (mettendolo nell'Olimpo della risata con Chaplin, Totò e Woody Allen) e che ricorda come Alda Merini confessò che lesse il libro di Fantozzi in manicomio, e le salvò la vita. Lino Banfi, che ammette come l'amico e collega sia stato più grande di lui, e non solo di taglia. Maurizio Costanzo, che ricorda quando quel curioso genovese sconosciuto faceva sold out nel suo teatro romano. Fiorello, che non dice niente di interessante, fa solo il gigione, un po' patetico. Milena Vukovic, la moglie finta (ammette di non essere mai stata innamorata di lui, il sentimento più forte che ha provato è stata la tenerezza, poi col tempo la pietà). Maura Albites, la moglie vera (con un tenerissimo ricordo sul Villaggio coltissimo, pigro e soprattutto bugiardo). Antonino Cannavacciuolo, che rivisita in un irresistibile piano sequenza la celebre frittatona di cipolle... E poi produttori, figli, colleghi e persino il mitologico Clemente Ukmar, la controfigura in tutti i film di Fantozzi.

Il docu-film è costruito bene, senza retorica, pieno di informazioni e materiale inedito. Descrive, attraverso le voci dei protagonisti di quella stagione, la rivoluzione televisiva e cinematografica portata dai personaggi inventati da Paolo Villaggio. Spiega l'effetto-identificazione tra lo spettatore medio italiano e il ragionier Ugo (siamo tutti Fantozzi proprio perché pensiamo che Fantozzi siano tutti gli altri, tranne noi). E soprattutto conferma una vecchia idea che, da sempre, ci ronza sommessamente in testa. E cioè che Paolo Villaggio fu, prima di tutto, un immenso scrittore comico (oltre che sopraffino attore adorato, non a caso, da Flaiano). In qualche modo si parva licet, facci Lei è stato il nostro Gogol'. E per capirlo basta confrontare come fa il film la scena della partita di tennis con Filini sul grande schermo (divertentissima certo) e sulla pagina scritta (capolavoro immenso).

E comunque, adesso che non ci sei più, ci manchi davvero, e abbiamo capito quanto tu sia indimenticabile, nel tuo orribile spigato siberiano, tanto da lasciare un vuoto che neppure un cane da riporto riuscirebbe a colmare. Grazie davvero, Bambocci.

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