Vincent Arena: "Musica e live possono convivere. Draghi non ci metta in secondo piano come Conte "

Tra i dj e producer italiani più famosi del mondo, Vincent Arena si racconta e chiede risposte certe e discontinuità con Conte a Mario Draghi per il settore degli spettacoli

Vincent Arena: "Musica e live possono convivere. Draghi non ci metta in secondo piano come Conte "

Vincent Arena è uno dei dj, producer e compositori italiani più prolifici e di maggior successo. È tra i 100 producer più ascoltati di Spotify a livello mondiale e due dei suoi brani (Blind e Can u hear me now, pubblicati nel 2020) hanno superato il milione di stream in poche settimane. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente durante una pausa delle registrazioni del suo ultimo disco, in uscita in estate.

Come nasce la sua passione viscerale per la musica?
“Avevo 7 anni quando mia madre mi ha iscritto a una scuola di musica per imparare a suonare il clarinetto. Contemporaneamente mio padre mi faceva ascoltare i Pink Floyd e gli AC/DC. È nata così la passione per questo mondo”.

Dietro i suoi brani si percepisce l'esigenza di un racconto. Da dove trae l'ispirazione?
“Da tutto quello che mi circonda, che io cerco di trasformare in musica. È il modo migliore che conosco per esprimere le mie emozioni e le mie sensazioni”.

In base alla sua lunga esperienza di dj e producer, com'è cambiata la musica negli ultimi 20 anni?
“Ci sono state delle evoluzioni che hanno però portato a ricalcare dei generi già esistenti, rivisti in chiave moderna. Nell'ultimo periodo sta tornando la dance e anche artisti di spessore come Ariana Grande o The Weeknd si ispirano alle sonorità anni Ottanta e Novanta”.

Lei è un artista affermato a livello mondiale, cosa vuol dire per lei aver ottenuto il riconoscimento internazionale?
“Vuol dire essere riuscito a esprimermi, perché il pubblico ha apprezzato quello che finora ho creato e per me è il risultato più importante. Io punto a creare sempre buona musica, sia che abbia successo che non lo abbia. Per me la qualità viene prima dei numeri. Sono contento perché ci sono persone che mi ascoltano volentieri e che “si rispecchiano” in quello che faccio”.

Usa e Uk sono la terra promessa per chi fa il suo lavoro. Crede ci sia spazio per tutti?
“L'Inghilterra nel mondo della musica la fa da padrona: se riesci a entrare nelle playlist di BBC Radio 1 o Capital Dance (stazioni radiofoniche cult inglesi, ndr) ce l'hai fatta. La musica parte da qui e poi arriva in America, da sempre. Purtroppo non c'è spazio per tutti, tanti cercano di ricalcare i successi già esistenti. Ma la musica, e l'Inghilterra soprattutto, ha bisogno di suoni nuovi. Così ci si ritaglia il proprio spazio. Alla gente non piacciono i cloni”.

Il suo lavoro l'ha spesso portata all'estero, com'è cambiata la sua attività in periodo di pandemia?
“Prima giravo moltissimo, ora sono molto più sedentario. Però questo è anche un momento di rinascita. In lockdown ho creato Blind, che ha avuto un grandissimo successo e negli ultimi mesi Can u hear me now. Per me è stato come entrare in una bolla e creare qualcosa di magico. E spero che con la ripartenza possano essere suonati nei più grandi festival di tutto il mondo”.

Secondo lei possono convivere musica live e coronavirus?
“Credo di sì. Se tutti noi rispettassimo le linee guida che i governi preparano per contenere il contagio, sì. Anche perché la musica ha bisogno del live, gli artisti hanno bisogno del contatto con i fan e con chi li ascolta”.

Vuole dire qualcosa al neonato governo di Mario Draghi?
“Vorrei fare un appello per tutto il comparto musica, spettacolo e cinema.

Vorrei ci fosse più attenzione, perché gli italiani hanno dato un grande apporto all'arte a livello mondiale, ottenendo importanti riconoscimenti. Il governo in questo momento deve dare delle risposte agli artisti che in questo momento sono fermi. Chiedo di non metterci in secondo piano, come invece ha fatto il governo di Giuseppe Conte”.

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