Lo spettro di tante Chinatown

A partire dal 2010, dunque, i cinesi di via Sarpi dovrebbero trasferirsi al Gratosoglio. Se tutto va secondo gli annunci, beninteso. E se, indipendentemente dalle dichiarazioni di oggi, al momento giusto questi laboriosissimi ma elusivi immigrati restassero dove sono? Anzi, peggio: e se, oltre a restare dove sono, andassero a impossessarsi anche di quell'altra zona? Quali garanzie reali e stringenti, insomma, questa soluzione offre - neppure in tempi ragionevolmente brevi - agli abitanti «autoctoni» e ormai minoritari di quella che oggi tutti chiamano Chinatown? E se tutto si riducesse a un ammiccante accordo privato - e non politico-amministrativo - fra la comunità cinese e il proprietario dell'area? Tre anni non sono pochi, può accadere di tutto, possono cambiare completamente i termini del problema. Abitavo in via Giannone, al centro del triangolo Niccolini-Canonica-Procaccini che in tre anni a cavallo del 2000 cambiò completamente volto e natura trasformandosi, dal bel quartiere che era - tradizionalmente milanese, con il suo commercio qualificato, i suoi artigiani, i suoi antiquari e rigattieri, le sue buone trattorie - in area occupata da centinaia di grossisti cinesi che vendono tutti la stessa merce, tutta della stessa pessima qualità. Si poteva evitare? Forse sì, indagando sulle misteriosi origini delle spropositate somme che questi immigrati pagavano - pacchi di dollari in contanti - per gli esercizi poi trasformati in magazzini. Forse sì, con visite severe, quotidiane e non occasionali della Finanza e l'Annonaria.

Forse sì, se la pedonalizzazione di via Sarpi non fosse continuamente rimandata, in ossequio al solito veto dei commercianti, che a Milano, grazie a un privilegio evidentemente non negoziabile, contano più degli abitanti. Forse si poteva, ma ormai è troppo tardi: non resta che sperare nella buona fede delle parti interessate, nella pedonalizzazione - non è mai troppo tardi - e in una più severa presenza delle forze dell'ordine.

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