Spioni e veleni, guerra di potere al «Corriere»

Azionisti divisi in due cordate, rivalità tra giornalisti, riunioni infuocate. E il comitato di redazione lancia l’allarme: «C’è forte inquietudine». Tregua finita nel principale quotidiano italiano.

da Milano

«Perché, abbiamo un vicedirettore che si chiama Mucchetti?». I dinosauri di Via Solferino arricciano un ciglio e scuotono la testa. Per loro è solo una ruga in più da grattarsi. C’erano quando, raccontano, un intruso venne scoperto a trafficare con le centraline telefoniche: chiamarono i carabinieri quella notte, trovarono tracce di intercettazioni telefoniche, ma finì tutto in un amen. Primi anni settanta, in via Solferino regnava Giulia Maria Crespi. E c’erano anche qualche anno dopo: nel Corriere della Sera che stava passando ai Rizzoli sembra che un’agenzia investigativa facesse da grande orecchio per la Montedison. Ma sopraggiunsero altri e peggiori guai, sul caso calò il silenzio.
Ma adesso è difficile girare la testa. L’ordinanza con cui Giuseppe Gennari, gip dell’inchiesta Telecom, ha disposto gli arresti di quattro persone, deposita al numero 28 di via Solferino una bomba a orologeria: spionaggio ai danni dell’allora amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao e del giornalista, vicedirettore ad personam, Massimo Mucchetti. Scrive Gennari: «L’attività di penetrazione ai danni di Mucchetti e di Colao non è stato un atto comune di teppismo informatico, ma una consapevole strategia volta a ricerca illegale di notizie riguardanti le dinamiche societarie di Rcs e l’attività dei giornalisti ritenuti espressione di determinata corrente di pensiero vicina a Colao». Di più, se possibile: un’attività di spionaggio «a beneficiare non già l’azienda - Telecom - ma colui che, in un dato momento storico, ne è proprietario». In un dato momento storico. Proprietario. Due dettagli che porterebbero a un nome: Marco Tronchetti Provera. L’ex presidente di Telecom ha immediatamente smentito i sospetti («siamo stati spiati anche noi, non abbiamo mai dato incarichi illegali») ma al Corriere della sera tira una brutta aria.
Con il 4,809 Tronchetti fa parte del patto di sindacato che ha in mano il quotidiano. Quindici soci, un parlamento spaccato in due. A grandi linee: Della Valle, Geronzi e Tronchetti da una parte; Lucchini, Bazoli e Passera dall’altra. Nel gioco del chi sta con chi, Vittorio Colao stava con i secondi. E Mucchetti, nominato vicedirettore ad personam (sganciato dalla gerarchia di comando, tanto che il suo nome non compare nella gerenza del giornale) da Stefano Folli, direttore prima del Mieli bis, è considerato molto vicino a loro.
Il risiko è pericoloso. Dicono i vecchi segugi del Corsera: «Qui ogni nuovo arrivato nomina senatore il proprio cavallo». Gli equilibri sono precari ma reggono a spallate e scalate. Poi succede il caos delle intercettazioni. Amministratore delegato e giornalista scoprono di non essere soli al mondo. C’è un baco nel sistema informativo. Il baco del Corriere. È il libro che Mucchetti stesso manda in libreria nello scorso autunno: un viaggio dentro il potere economico che regge le sorti di via Solferino. Con molti fatti e alcuni misfatti. Succede un gran casino. «Con un pizzico di civetteria Mucchetti veste i panni dello storico revisionista... Talora sembra cedere all’umanissima tentazione di piegare gli avvenimenti alla tesi che gli ha dato lustro»: sono alcuni indicativi passaggi della recensioni che Dario Di Vico, vicedirettore del Corsera, ha dedicato al libro. Bastano per dire come i vertici non abbiano gradito la coltellata. Che non ci fosse grande feeling tra Paolo Mieli e il suo giornalista lo sapevano tutti. I presenti, raccontano di una agitata riunione nella Sala Albertini con Mucchetti che chiedeva spiegazioni al direttore sul trattamento che la cronaca giudiziaria stava riservando alla vicenda Telecom. «Volarono gli stracci», dice un giornalista chiedendo l’anonimato.
Ecco, i giornalisti. Gad Lerner li invitò all’Infedele per parlare del Baco, ma i rappresentanti del comitato di redazione (imitati da quelli del consiglio di fabbrica) rimasero a casa. Perché libertà sarà anche partecipazione, come diceva Gaber, ma certe volte è meglio stare alla finestra. E tenere d’occhio gli sviluppi. Che ci sono stati e anche di un certo peso. Ieri un comunicato sindacale apparso sulle pagine del Corriere esprimeva la posizione dei giornalisti. «Attenzione», «preoccupazione», «forte inquietudine», «garanzie che tutelino l’inviolabilità e la sicurezza del sistema informatico»: espressioni che ammettono un disagio finora, a sentirli, mantenuto sotto il livello di guardia. Dice Elisabetta Soglio, rappresentante del cdr: «Abbiamo verificato con i colleghi della cronaca giudiziaria, dell’economia e con i capi settore se ci fossero state pressioni esterne nel raccontare la vicenda e, gli articoli lo dimostrano, finora nessuno si è permesso di intralciare o indirizzare il nostro lavoro». Al primo piano del Corsera una porta a vetri divide la direzione dalle redazioni: oltre, dicono che il clima sia teso, si sarebbe fatto vedere anche Mucchetti (che per molti al giornale rimane un corpo estraneo) per segnalare quali parti del suo libro sarebbe utile pubblicare in merito alla vicenda: «Lavoro normalmente come sempre» dice in piena tempesta il vicedirettore. Giovedì prossimo ci sarà un faccia a faccia tra cdr e proprietà (già in programma) cui ne seguirà un altro con la direzione. Le tecnologie, il sorpasso di Repubblica nelle vendite (il vero incubo solferiniano) ma anche la vicenda Telecom.

Sono molti gli interrogativi cui i giornalisti vorrebbero una risposta. Chi ha ordinato lo spionaggio, con quali finalità e quanto è ramificato. Che, virgola più virgola meno, è anche quello che vogliono sapere i giudici.

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