"Sono sopravvissuto al Sudafrica... E riprovo con l’Olanda stile Juve"

Tre moduli diversi e due problemi: il bomber e il campaccio di Manaus

"Sono sopravvissuto al Sudafrica... E riprovo con l’Olanda stile Juve"

Dalla Spagna alla…Spagna, per l'Olanda il Mondiale riparte da dove si era chiuso. Nigel de Jong è uno dei cinque superstiti degli oranje sconfitti nel 2010 dalle Furie Rosse nella finale di Johannesburg. «Si, sono un sopravvissuto», scherza il centrocampista del Milan. «Quattro anni sono lunghi, la delusione sudafricana è solo un pallido ricordo, ma la voglia di rivincita rimane intatta. Sarà una partita molto diversa, importante ma non decisiva. La Spagna ha cambiato poco, l'Olanda invece è molto diversa da quella del Sudafrica: nuovi giocatori, nuovo modulo, un allenatore e un approccio diverso».

Louis Van Gaal sembra orientato verso il 5-3-2, una bestemmia nella terra del calcio totale.
«Non è una questione di modulo, ma di equilibrio e tenuta mentale. Continuo a ripeterlo ai nostri giovani: dovete scendere in campo convinti che nessuno sia più forte di voi. Io nelle giovanili dell'Ajax sono cresciuto così: giocavano contro avversari più grandi e più esperti, ma non avevamo paura. E la difesa a cinque non rappresenta di sé un approccio difensivo alla partita. Guardate ad esempio la Juve di Conte...».

L'Olanda del 2010, con De Jong e Van Bommel in mediana, aveva fatto storcere il naso ai puristi del calcio d'attacco.
«Però eravamo un'ottima squadra, e soprattutto un gruppo unito. Metterei la firma per tornare in finale giocando ancora così. Il resto conta zero».

Le stelle dell'Olanda, da Robben a Van Persie fino a Sneijder, non sono un po' in declino?
«No. Robben è reduce da due annate top con il Bayern, Van Persie è il miglior bomber della storia oranje, e la mediocre stagione del suo Manchester United ce lo ha restituito ancora più carico. Quanto a Sneijder, uno come lui può decidere la partita in ogni momento».

Tornando al Mondiale sudafricano, il suo calcio al petto di Xabi Alonso è diventato una delle immagini simbolo della finale del 2010.
«In quel momento non mi resi conto della gravità del fallo. Avevo cercato la palla e non l'avevo presa, punto. I mesi successivi però furono duri, specialmente per i miei parenti e i miei amici. Rimasero feriti dall'ondata di critiche che si abbatté sul sottoscritto, e alle quali ribattei con il silenzio. Ma ho imparato a separare nettamente la mia carriera dalla vita privata».

Una carriera che nell'ultima stagione è rifiorita, a dispetto dell'annata negativa del Milan.
«Con l'arrivo di Seedorf il mio rendimento è cresciuto molto. Ci conosciamo da tanto, abbiamo giocato sia insieme che contro, siamo amici, e quindi mi è bastato poco per adattarmi alla sua filosofia. Con lui il Milan era più propositivo. Certo, la mancata qualificazione alle coppe europee è stata un brutto colpo. Su quello che è successo dopo posso solo dire che Clarence ha giocato tanti anni in Italia, quindi è perfettamente consapevole di come funzionino le cose in termini di pressione e aspettative. Una settimana sei un eroe, quella dopo vali zero».

Mancherà più Strootman all'Olanda o Montolivo all'Italia?
«Le assenze dei giocatori di qualità sono dure da assorbire. Riguardo a Strootman, basta dire che il suo infortunio ha indotto Van Gaal a cambiare modulo».

Chi passa tra Uruguay, Italia e Inghilterra?
«Uruguay e Italia. Tutte le squadre sudamericane avranno il vantaggio di giocare in condizioni climatiche e ambientali a loro congeniali, o perlomeno alle quali sono più abituate.

Riguardo agli Azzurri, mi sembra abbiano qualcosa in più rispetto agli inglesi in termini di mentalità, specialmente nei grandi appuntamenti. E poi, sotto il profilo della solidità difensiva, sono ancora tra i migliori. Lo dico sempre al mio compagno De Vrij (vicino a firmare per la Lazio, nda): in Italia impari a diventare un grande difensore».

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