Agnelli, centenario di sacrifici non di affari

La proprietà al bivio: un altro aumento di capitale o ridimensionamento

Agnelli, centenario di sacrifici non di affari

«La nazionale di calcio azzurra rimane la più fiacca e mediocre rappresentativa che lo sport italiano possa esprimere in qualsiasi settore. Il nostro paese è depresso economicamente, ma diventa l'eldorado per gli atleti stranieri. Ciò conferma ancora la crisi del nostro calcio, che non sa produrre calciatori, e la leggerezza di certi dirigenti di società che si fanno guidare dal tifo, cioè da un impulso irrazionale. Eppure tra questi dirigenti vi sono spesso degli operatori economici che si ingegnano, con assiduità e intelligenza, per creare nuove possibilità di lavoro alle aziende e ditte a cui presiedono. È ammissibile che, nel medesimo tempo, essi importino lavoratori dall'estero a condizioni folli? E come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci delle società? Oggi, noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo, come i ricchi scemi del calcio. E come se ciò non bastasse, è venuta fuori la trovata dell'oriundo, che ha ormai una sua letteratura. Nonostante una simile profusione di mezzi e di invenzioni, il calcio italiano è stato escluso dalla Coppa del Mondo 1958!». Così disse Giulio Onesti, presidente del Coni e la sua denuncia è attualissima e aderente alla realtà contemporanea, non soltanto del club Italia con l'esclusione da due mondiali, consecutivamente ma con lo stato dell'essere delle finanze del nostro calcio.

La situazione dei conti della Juventus ne è la conferma più clamorosa e non porta alcun onore alla società che andrà a celebrare un secolo di proprietà della famiglia Agnelli. Nel 1996, in occasione della riunione londinese dell'AUME, l'associazione per l'unione monetaria europea di cui era vicepresidente, l'avvocato Gianni Agnelli disse: «Finora la Juventus era stata anche un sacrificio ma gli attuali dirigenti mi stanno dimostrando che può essere un affare». Anni belli, di risultati sul campo e di solidità finanziaria, con una gestione saggia, guidata da Umberto Agnelli e gestita da Antonio Giraudo. Ventisei anni dopo la Juventus non è più un affare, è un sacrificio per gli azionisti e alla crisi dei conti corrisponde l'affanno dei risultati sportivi. La propaganda riferisce che le perdite di 254 milioni siano dovute dal perdurare dell'emergenza sanitaria, come se il Covid abbia colpito pesantemente la Continassa, limitando le conseguenze in altre realtà.

Il futuro ha due soluzioni: un nuovo e sostanzioso aumento di capitale per tornare a essere competitivi oppure

il ridimensionamento del club e della squadra. E il contratto quadriennale di Massimiliano Allegri, ipotizzato con la solita presunzione, come il nuovo Alex Ferguson, è una nota a parte, comunque fastidiosa e penalizzante.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica