Dove corri Greg? Corro per battere l'ignoto. C'erano tante parole, tanti discorsi nelle furibonde bracciate di Greg Paltrinieri in quei sette minuti passati in una corsia che pareva lasciarlo solitario. Nessuno intorno, sebben invece quella sua corsia pullulasse di fantasmi, e accanto ci fossero avversari confusi e forse indispettiti dalla sfrontata sfida ad una sola regola: se ci riuscite, prendetemi! In verità Paltrinieri, prima di loro, voleva battere altri avversari. L'ignoto ha tante facce. Voleva metter sotto quella malattia, la mononucleosi, infezione subdola apparsa solo un mese prima di Tokyo, che gli aveva tolto forze e certezze della testa. «Mi si è sgretolata ogni cosa intorno». Voleva dire a tutti: con la fatica si vince. Credo difficile da interpretare, ma quando ti riesce vedi il mondo con altri occhi. Quale elogio più bello alla fatica di un atleta se non buttarsi senza pensieri, solo con cuore e muscoli. «Un grande amico me lo aveva detto: queste finali non si affrontano con la testa, ma col cuore». Greg ha creduto all'amico. E al tocco finale, che valeva la medaglia d'argento, ha sospirato: «Avevi ragione». Ma avevano ragione pure i genitori che, nei giorni bui, lo hanno supplicato: «Non mollare». Ha ascoltato e ieri, finalmente, ha replicato: «Se sono qui è grazie anche a loro».
Ottocento metri in autentico stile libero sono stati un canto di liberazione per Greg Paltrinieri, ragazzo di classe, che crede ancora ai supereroi, «E questa è stata una impresa da supereroe», dalla testa prepotente, che pensa: talvolta anche troppo. «E, magari, non la lascio libera di andare: cado nell'errore di programmare troppo. Avevo tanti pensieri e confusi. Gli altri saranno andati meglio tatticamente. Ma come ci ho messo il cuore, io...». La tattica è stata perfetta se ha fatto sfiatare tutti, compresi l'ucraino Romanchuk, poi bronzo, e il tedesco Wellbrock affondato quando pensava di essere in volo. Gli è scappato solo il giovin esordiente americano Robert Finke, classe 1999 contro la classe '94 di Greg, che dalla quinta posizione, negli ultimi 50 metri, è schizzato a prendersi l'oro. Paltrinieri ha tenuto botta per 700 metri, poi un attimo di tregua, gli altri a dirsi Dai, che lo prendiamo. E lui: non ci sto. Un ultimo guizzo per una gara forse meno sua, rispetto alle altre che lo aspettano: 1500 stile libero e 10 km di fondo. E così Greg mille pensieri è tornato Greg mille fatiche in arte Paltrinieri. E chissà perché ci ha ricordato lo sfinito e storico Dorando Pietri, che come lui veniva dalla zona di Carpi, oppure il Mennea maestro della fatica, ed anche quei pazzi solitari che si involano sulle strade del Tour o del Giro per cercare l'impresa come è riuscito, in questa olimpiade, al Carapaz figlio dell'Ecuador. Gente a caccia di miracoli? No, solo apostoli della fatica. Sebbene Greg abbia pensato al miracolo. «Dire miracolo è poco, non ci avrei scommesso nemmeno io. È stata una medaglia più bella, forse, che a Rio». Paltrinieri in quei 7 minuti 42 secondi e 11 sembrava avvinghiato alla corsia, quasi la toccava, un ritmo pazzesco, da record del mondo, fino ai 200 metri. Poi la dimostrazione che si può trasformare in energia ogni ostacolo che presenta la vita.
«Rispetto alla batteria avevo altra mentalità, cattiveria, voglia di gareggiare». Tre regole per una medaglia e forse una grande lezione alla fragilità dei grandi atleti, alla malattia da virus che ne ha colpiti tanti: vince chi lotta, sorride alla fatica e vuol battere l'ignoto.
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