In campo appena 99 italiani su 220 titolari A Catania solo Legrottaglie e Ranocchia

Che il nostro calcio non goda di una salute di ferro lo dimostra il ranking dell'Uefa che vede la Nazionale italiana arrancare alle spalle di Spagna, Germania e Olanda. E per le squadre di club il quadro è decisamente peggiore. Lontani gli anni in cui il nostro campionato era etichettato come «il più bello del mondo». Oggi la realtà è diversa: squadre modeste, pochissimi campioni, club con le casse vuote, stadi vecchi e scomodi, tifoserie violente con conseguente calo di spettatori, sempre più attratti dalle dirette televisive.
Adesso anche nel calcio, come in politica, la parola d'ordine è «crescita». Già, ma cominciando da dove? Un dito nella piaga l'ha messo l'altro giorno il ct Cesare Prandelli: «Nel nostro campionato ci sono troppi stranieri – ha sottolineato - E' un dato che impone una riflessione non soltanto ai media ma anche a livello di programmazione. Se io fossi un presidente di club, penserei a lavorare sui giovani per cercare di portarli in prima squadra e completerei il programma inserendo giocatori stranieri bravi».
Che i calciatori importati, al di là delle qualità tecniche, siano molti non è un'opinione del ct, ma un dato di fatto. I numeri parlano chiaro. Pochi giorni fa, nel secondo turno del campionato di serie A su 220 giocatori scesi in campo dal primo minuto, gli italiani erano soltanto 99 (il 45%). Il massimo si è registrato a Catania dove i calciatori nostrani erano soltanto due, Legrottaglie per i padroni di casa, Ranocchia per l'Inter. Gli altri 20 tutti stranieri, molti dei quali di qualità insignificante, certamente non migliori di colleghi nostrani che trovano posto in formazioni di categorie inferiori.

In questa situazione per i giovani diventa sempre più difficile trovare spazio, tenendo anche conto della scarsa cultura degli spettatori-tifosi (conta solo il risultato, non importa come) che condiziona gli allenatori, riluttanti ad affidarsi a giovanotti promettenti, ma fatalmente inesperti.

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