Cavani la minaccia è già meglio di Diego

Da “El Botija” (il bambino) a “El Matador” (non c'è bisogno di traduzione) il passo è stato breve perché il ragazzino dai lineamenti infantili ha impiegato poco tempo per divenire un cecchino implacabile. Nel suo ruolo è il numero uno per la facilità con cui buca le reti avversarie e l'universalità delle movenze che ne fanno un attaccante modernissimo: seconda punta, prima punta, boh, non lo sa neanche lui. A Edinson Cavani interessa solo il gol, questa è la sua missione. E di solito l'uruguagio dai cromosomi italiani, il nonno era di Maranello, il tempio dei motori, non delude le aspettative. Napoli che sogna il terzo scudetto a oltre 22 anni di distanza dal precedente e nel calcio trova un motivo di riscatto dalle brutture socio-economiche del momento, s'aggrappa a questo 25enne dal viso ascetico, i muscoli d'acciaio e una fede sconfinata, per fare la guerra alla Juventus e magari superarla come nella finale di Coppa Italia. Con la tripletta alla Lazio, e il poker fallito dal dischetto, l'attaccante rappresenta nell'immaginario popolare il valore aggiunto della squadra, il giocatore, l'unico, capace di fare la differenza.
Lui come Maradona. Quanto a gol anche meglio. Lo raccontano i numeri. Cavani ha realizzato finora 72 reti in 101 partite, coppe comprese, ad una media di quasi il 71% che arriva al 75% prendendo in considerazione solo il bottino in campionato, fatto di 54 centri in 72 incontri. Una percentuale mostruosa. In soldoni significa che Cavani, trasformatosi improvvisamente nell'arma impropria da usare contro la Juventus, segna tre gol ogni quattro partite. L'argentino, soprannominato ai tempi belli “El Pibe de Oro”, non è mai arrivato a tanto: con il Napoli 115 gol in 259 partite complessive, di cui 81 nelle 188 presenze in Serie A, media sotto il 45%. Con questo non voglio dire che Cavani vale quanto o più di Maradona, mi limito a riportare un paio di statistiche favorevoli al campione di oggi e a rifletterci sopra in una stagione caratterizzata dall'addio di Lavezzi, ma impreziosita anche dal rilancio di Pandev, dalla maturazione di Vargas, dal ritorno di Insigne.
E poi: se l'uruguaiano segna di più, l'argentino regge il paragone con Pelé, e spesso lo vince, grazie alle sue innate doti di leader: primo violinista l'uno, direttore d'orchestra l'altro. Curioso che la Juventus non li abbia mai presi a tempo debito nonostante le raccomandazioni di Sivori su Maradona («E' meglio di Pelé») e le buone parole di Zamparini su Cavani («Vale la pena di spenderci 17 milioni»). Quei 17 milioni sborsati poi da De Laurentiis. Meglio di così non poteva investirli.
I tifosi si chiedono e chiedono se questo Napoli, al momento appaiato alla Juventus, è da scudetto dopo la campagna acquisti che non ha portato grossi nomi ma ha irrobustito la rosa in tutti i reparti. Può esserlo.

A patto che gli uomini di Conte accusino lo stress di Champions League e quelli di Mazzarri non gettino al vento occasioni importanti, come a Catania, dove hanno addirittura rischiato di perdere con un uomo in più fin dal primo minuto. Cavani non può sempre metterci una pezza, non ci riusciva neanche Maradona.

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