C'era una volta François. Fiaba romantica, finale tragico, misto di poesia e chanson de geste, chissà cosa sarebbe stata la sua fiaba se il dio dei motori gli avesse regalato qualche anno in più. Il tempo di François finì oggi cinquant'anni fa, dilaniato in qualifica contro un guard rail poco prima di mezzogiorno, lungo una esse di Watkins Glen, America, circuito bello e maledetto come all'epoca era normale che fossero le piste e adesso non è più. «Oggi i piloti sono impiegati del rischio, noi cavalieri» era solito ripetere Niki Lauda che di quel rischio si era nutrito fino al punto di pagarlo con i segni sul corpo. E cavaliere, François, lo era e sarà per sempre. Cavaliere nell'animo, cavaliere in quegli occhi azzurri del cielo riflesso nel mar della Côte, cavaliere per i ricchi natali parigini, cavaliere nella bellezza da Croisette, cavaliere negli amori e nell'indipendenza dall'amore. Fra lui e Brigitte Bardot fu tutto a prima vista, un lampo persino il distacco, caratteri troppo forti per convivere a lungo.
La breve vita di François Cevert è il commovente manifesto di uno sport che non esiste più; potremmo dire: per fortuna. Aveva ragione Niki, i piloti adesso sono impiegati del rischio, le auto scudi meravigliosi come le indistruttibili monoposto della playstation, però le storie che scrivono a trecento all'ora sembrano storie di plastica. Resistono il tempo di una stagione.
François e quelli come lui erano eterni nel trionfo e nel dramma, erano cuore e sangue, vita rubata e adrenalina e gioia e brividi. Con gli occhi grandi Cevert arrivò in F1 che non era un fuoriclasse, buon pilota dicevano, approdò alla Tyrrell che all'epoca era una Red Bull, a volerlo fu Jackie Stewart che no, per favore no, era molto di più, nessuno provi ad accostarlo a Verstappen. Era il pluricampione del mondo in carica, l'uomo che per primo iniziò la battaglia per la sicurezza, battaglia che porta avanti ancor oggi, a 84 anni. Stewart convinse quel boscaiolo di Ken Tyrrell a ingaggiare François e lo prese sotto braccio, dandogli consigli, regalando esperienza, facendolo crescere e aprendogli le porte della propria famiglia. Immaginateli i piloti impiegati di oggi a far la stessa cosa, immaginate Verstappen o Hamilton o Leclerc. Stewart aveva scelto Cevert come erede, a fine stagione si sarebbe ritirato. Ne avevano parlato pochi giorni prima di quel tragico sabato, in vacanza alle Bermuda, lui, sua moglie Helen e François, «una delle più belle vacanze della nostra vita».
Il sogno finì a mezzogiorno, quando Jackie rallentò e sfilò fra i rottami della Tyrrell gemella. Capì tutto, scese dall'auto e non ci salì mai più. Per sempre fermo a 99 Gran premi. Il numero 100 mai corso fu l'omaggio all'amico. Il suo mazzo di fiori.
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