"Ci immedesimiamo in Sinner perché simbolo dell'Italia del lavoro, non dei furbi"

Il sociologo Raffaele Morelli spiega la chiave del successo di Jannik: "È diventato campione con talento, fatica e sofferenza I suoi coetanei restano eterni bambini. Imparino da lui"

"Ci immedesimiamo in Sinner perché simbolo dell'Italia del lavoro, non dei furbi"
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«Siamo tutti Sinner perché questo ragazzo ha una capacità unica: farci sognare». Raffaele Morelli, sociologo noto al grande pubblico e fondatore di Riza Psicosomatica, non è meravigliato dall'identificazione di tanti italiani in questo campione «anomalo».

«Jannik - spiega Morelli al Giornale - è allo stesso tempo un idolo sportivo ma anche il giovane della porta accanto che ti piacerebbe avere come amico, figlio o fratello». Il fuoriclasse delle tre «s»: «sincero, simpatico, spontaneo». Ma in lui c'è anche la «m» di «maturità» e la «i» di «italianità». L'italianità migliore: «Quella che non punta sulla furbizia, prediligendo impegno e sacrificio. Nonostante sia giovanissimo Sinner ha capito che la vita non è divertimento, ma salire dei gradini. Lui l'ha fatto con fatica e sofferenza e non si adagia sugli allori...». Anche adesso che il successo è arrivato: «Ma successo è solo un participio passato. Mantenerlo è più difficile che raggiungerlo. Mi è rimasta impressa una frase di Jannik che, dopo una sconfitta dolorosa, ha subito detto: Devo migliorare, vado subito ad allenarmi...». Un esempio per i suoi coetanei: «Una generazione di bambini che rischiano di rimanere tali anche crescendo, privi di punti di riferimento autorevoli; a partire dai genitori, incapaci di saper opporre loro dei no. Sinner è l'opposto: ride, esulta ma sa che ha ancora dei margini di miglioramento. Non si ferma, cresce. Proprio come deve fare un uomo di valore. Gestisce i trionfi senza montarsi la testa. Un grande vecchio del tennis come Pietrangeli ripete sempre, con spocchia, io... io.... Da Jannik io... io... non l'ho mai sentito dire». Ma forse la «sinnermania» è pure la risposta a un nostro deficit di autostima e alla voglia di una «bella notizia» in un contesto sociale di brutte realtà tra guerre e ingiustizie. Nella storia dei grandi sport, prima di sentirci «tutti Sinner», ci siamo sentiti «tutti Tomba». Analogie tra due campioni di oggi e di ieri ce ne sono poche, così come sono diversi (pur con caratteristiche in comune) il tennis e lo sci.

«In entrambe le discipline è insito un concetto di correttezza che, ad esempio, è estraneo al calcio - evidenzia lo psicologo Pietro Ramella, specialista di Humanitas Psico Medical Care -. Sinner, al pari di Tomba quando dominava sulla neve, incarnano modelli di lealtà sportiva e stili di vita dove non c'è spazio per insulti e lusso ostentato».

Anche lo stesso dottor Ramella è un estimatore di Sinner: «Quando parlo con dei miei amici che praticano il tennis a livello agonistico mi parlano di Jannik come atleta; io invece, che ho con il tennis un approccio meno competitivo, guardo a Sinner più sotto l'aspetto umano. Come dire che ognuno può trovare in Jannik un proprio riflesso. Accorciando la misteriosa distanza che c'è tra il me stesso reale e il me se stesso ideale».

Comunque sia, grazie Sinner.

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