Andare o non andare, questo è il dilemma. I potenti hanno un posto assicurato al Mondiale ma li blocca un dubbio atroce: in caso di disfatta non è che poi il popolo dice che porto sfiga? Eh già. Domenica, durante Russia-Spagna, abbiamo visto re Felipe VI di Spagna, appassionato di sport, ma non lo zar di tutte le Russie, Vladimir Putin. C'era il suo braccio destro, il premier Dmitry Medvedev con l'esuberante moglie Svetlana. Forse lo Zar aveva da fare, forse avrà pensato che, in caso di successo, poteva cavalcare l'onda lo stesso. Noi ricordiamo Sandro Pertini al Bernabeu, finale 1982, con il padre di Felipe, Juan Carlos, che lo guardava attonito mentre saltellava come un ultrà. Angela Merkel sarebbe sicuramente arrivata se la Mannschaft avesse proseguito il cammino.
Per quanto ci riguarda, alle finali azzurre del 1994 e del 2006 non si presentarono i due primi ministri freschi di vittoria elettorale. A Pasadena (sconfitta ai rigori con il Brasile) c'era il presidente della Camera, Irene Pivetti, ma non Silvio Berlusconi e neanche il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Un presentimento? A Berlino 2006 (vittoria ai rigori con la Francia) niente Romano Prodi che notoriamente ama di più la bicicletta. Non fu scaramanzia, ma protocollo: se va l'inquilino del Quirinale, quello di palazzo Chigi sta a casa. Giorgio Napolitano alzò la Coppa, come Pertini, senza fare l'ultrà.
Il ruolo lo interpretò la ministra Melandri per cui i giocatori, negli spogliatoi, intonarono cori da intervento delle volanti #meetoo. L'inettitudine di Gian Piero Ventura e dei suoi boys ha eliminato pure questo problema.
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