E allora il mondo del tennis dovrà cominciare a fare i conti con i numeri di Novak Djokovic che a Londra è diventato Maestro per la quinta volta, ma soprattutto per la quarta consecutiva, ed è record. Che nel 2015 ha vinto undici titoli maggiori, ed è record. Che ha pure giocato quindici finali di fila, ed è record. E che vanta sul numero due del mondo, ovvero Andy Murray, il doppio dei punti. Ed è record.
Il mondo insomma, soprattutto il mondo di Roger Federer, si deve rassegnare a inchinarsi al numero uno assoluto, campione dopo un'ora e venti minuti di mancata battaglia, per un 6-3, 6-4 lontano parente del match che del gironcino preliminare che aveva invece incoronato il re di cuori della folla tennistica. Lontano parente anche delle due finali che lo svizzero quest'anno aveva vinto contro Novak. Federer ha 34 anni e nel 2015 è arrivato in fondo 11 volte nei tornei di tutto il mondo: sarebbe - è - da considerare un fenomeno. Roger che s'è perfino fatto crescere un po' di barba scherzandoci su («No, non ho chiesto un parere a mia moglie Mirka: alla mia età certe cose so deciderle da solo») e che poteva fare la storia se non fosse che dall'altra parte della rete, appunto c'è uno, che la Storia la sta riscrivendo. E dunque non c'è stato niente da fare, anche se il pubblico era ed è sempre tutto per Federer. Non c'è stato nulla da fare perché Djokovic è un tennista zen, che non ascolta, non si emoziona, non lascia spiragli: gioca e vince. E come vince. È in pratica il dominatore dell'era moderna con la sua potenza, il suo fisico, la sua testa, elementi perfetti di un robot con tanto talento tennistico.Novak vince e ormai sembra che sia normale, quasi non facesse neppure grande sforzo, ma sarebbe ingiusto solo pensarlo, perché il tennis è ora cosa sua.
Novak che vince e festeggia con stile, dicendo di essere davvero orgoglioso del suo team, «di Boris Becker che festeggia così al mio fianco il suo compleanno e di come tutti mi hanno supportato in questi mesi. È stato l'anno più lungo della mia carriera, ho goduto ogni momento che sono stato sul campo e ho realizzato i miei sogni di ragazzo, quando immaginavo di vincere un trofeo come questo. E ora sono qui». Per una vittoria che vale (un po') come una minaccia: «Vado in vacanza a ricaricare le batterie. Per essere ancora pronto. E tu, Roger, sei un grande: spero di incontrarti ancora molte volte l'anno prossimo». E forse, chissà, lo spera anche Federer, perché in fondo non è poi andata così male quest'anno, anche se «non è mai divertente stare dalla parte di quello che perde, ma tutto sommato è meglio così dell'anno scorso, quando mi sono dovuto ritirare prima della finale per il mal di schiena. Diciamo che è stato un anno fantastico, il suo però lo è stato un po' di più».
Insomma alla fine questa è la morale dell'ultimo torneo del 2015: il tennis ha un fenomeno immortale, ma ora ha un campione assoluto. Perché, come diceva uno striscione sugli spalti della 02 Arena, «London loves Federer», e non è solo Londra ad amarlo più di tutti. Poi, però, vince Djokovic.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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