L'Italia non ha vinto il fioretto d'oro. Ma non l'ha vinto nemmeno la Cina. Patti chiari: sul podio di Tokyo, Cheung Ka long, un ragazzo di Hong Kong, cinque petali di orchidea sulla bandiera, nessuna stella e nessuna Marcia dei Volontari ma l'inno di questa terra sospesa, ex colonia britannica, allora cassaforte e salvadanaio della finanza mondiale, poi consegnata ai comunisti cinesi, infine regione amministrativa speciale sempre sotto il controllo del regime che ha chiuso i contatti con il resto del mondo, soffocando giornali (l'ultimo l'Apple Daily e siti internet, consentendo di navigare su Sina Weibo un microblogging che due anni fa ha dovuto subire una censura su tutti gli argomenti che riguardavano o sfioravano soltanto il tema della omosessualità, in riverenza con gli ordini di Pechino. Questo per fare intendere, a chi ne ha voglia ovviamente, di che cosa sia quel mondo così lontano e così presente in Occidente. Cheung Ka long è la seconda medaglia d'oro nella storia di Hong Kong, dopo San San, Lee Lai Shan, la surfista vincitrice ai Giochi di Atlanta nel 96. Fu, quello, un podio di stampo ancora britannico, oggi Cheung Ka Long deve fare i conti con una realtà politica e sociale diversa, opposta, le proteste del popolo, le manifestazioni di piazza sono il segnale di una libertà soffocata però tenuta a distanza dall'informazione internazionale. Il ragazzo incasserà 5 milioni di dollari di Hong Kong, pari a 540mila euro per la vittoria sul nostro Garozzo e, come ormai abitudine dello sport di qualunque terra, ha spedito un messaggio al proprio padre, non certo chiamato genitore uno o genitore due.
Ovviamente il capo delegazione, la signora Carrie Lam, ha approfittato dell'evento per congratularsi con il vincitore augurando a lui, alla regione e alla Cina di proseguire nelle vittorie. Due piccioni con una fava, anzi un partito, comunista.
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