I conti non tornano, ma regge il patto. Unità e continuità è la via della società

Dieci milioni persi, ma da Nanchino nessun ribaltone: l'allenatore può prendersi la rivincita conquistando il titolo

I conti non tornano, ma regge il patto. Unità e continuità è la via della società

Non ci sono conferme che Steven Zhang abbia visto in diretta tv l'Inter uscire dall'Europa. Del resto, dal vivo, l'ha vista l'ultima volta a Colonia, quasi 4 mesi fa. Un presidente da remoto, o a distanza, e non solo causa pandemia. Improbabile anche, che papà Jindong si sia alzato nel cuore della notte cinese per vedere come andava il suo principale investimento nel calcio. Avrà saputo al mattino e avrà chiesto di quantificargli il danno: 10 milioni secchi per aver mancato gli ottavi, più tutto il resto che poteva seguire, oltre alle martellate all'immagine del club, unico italiano a uscire dall'Europa. I conti non tornano. Da Nanchino, filtrano concetti scontati in occasioni come questa, frasi pronte per essere sconfessate la prossima volta: restiamo uniti, sapevamo che sarebbe stato un anno difficile, guardiamo avanti e pensiamo al futuro.

Del resto, quando Zhang jr parlò in videoconferenza all'assemblea degli azionisti, due giorni dopo il flop casalingo col Real Madrid («Conte è il vero leader per centrare il nostro obiettivo»), l'Inter era per trequarti già allora fuori dalla Champions, per cui impossibile pensare che nel frattempo il presidente abbia cambiato parere. Magari l'ha fatto il padre, il quale da imprenditore di successo, si starà chiedendo perché pagare qualcuno 2 milioni lordi al mese, per poi vincere solo 1 partita su 6 in Europa (o 3 su 12, contando anche l'anno scorso).

Non che Conte rischi il posto, non ora. E a sua garanzia non valgono certo solo le veline. Ma il patto di Villa Bellini regge finché ci sono i risultati. Senza, cominciano i guai e rischia di crollare tutto. Non va scordato che il patto, altro non è stato che un compromesso per arginare una crisi che Conte aveva volutamente portato al punto di rottura. Caos, incertezze, sfide dialettiche a braccio di ferro, e tutto dopo i migliori risultati raggiunti dall'Inter nel decennio post Triplete. Da qui il patto, la migliore delle soluzioni possibili, ma in assoluto non la soluzione migliore, perché quella sarebbe costata troppo al club, che pure avrebbe avuto poco tempo per cambiare tecnico e ripartire un'altra volta daccapo.

Conte oggi è saldo in panchina, non solo perché ha ancora tutto il tempo per prendersi la rivincita contro tutti, conquistando lo scudetto, ma anche perché esonerarlo costerebbe sempre troppo. E anche nell'immediata vigilia dello Shakhtar, quando l'eliminazione era in ogni caso scenario prevedibile, Marotta ha difeso strenuamente e pubblicamente le scelte dell'allenatore, al punto da addossarsi involontariamente le responsabilità del flop Eriksen. Perché se «le scelte di Conte sono incontestabili», resta da capire perché l'Inter cioè Marotta - un anno fa abbia pagato 20 milioni un giocatore (quasi) a scadenza di contratto, oltretutto elargendo 7 milioni di commissioni a chi ha gliel'aveva proposto.

Eppure a tutti, sembrava un grande colpo, se non proprio un affare. Parlarne con Conte, sarebbe stato utile.

Quei 27 milioni potevano essere spesi meglio. Oppure no, Eriksen li vale tutti, e allora sta sbagliando Conte, che gioca la sfida dell'anno con Gagliardini in campo ed Eriksen in panchina. E poi c'è chi si stupisce se l'Inter va a casa.

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