Caro Ancelotti, si è conclusa la prima parte dell'europeo di calcio: salga in cattedra e cominci a dare i suoi voti. Precedenza all'Italia, naturalmente...
«È la grande sorpresa e nello stesso tempo la novità del torneo. Perché gioca un calcio offensivo, senza alcun calcolo, dispone di una organizzazione difensiva collaudata e ha la gioventù del suo zoccolo duro che garantisce corsa ed entusiasmo».
Si sprecano i paragoni con le nazionali di una volta: c'è una qualche affinità?
«Ci sono un paio di dettagli che mi riportano alla memoria la nazionale di Vicini del mondiale '90 a cui ho partecipato. Io c'ero e si respirava, allora come ora, lo stesso entusiasmo che ho colto nelle tre partite disputate a Roma. C'è un altro dato in comune: nel girone iniziale, gli azzurri di Mancini non hanno preso gol, proprio come capitò a noi in quella occasione».
Circola anche una maliziosa osservazione: resiste un eccesso di enfasi dopo aver domato rivali non proprio irresistibili.
«Beh, non è che gli altri, tranne forse la Germania col Portogallo, hanno travolto Argentina o Brasile. Al di là dei risultati, io ho visto un gruppo compatto e una squadra che gioca da squadra in qualsiasi condizione».
Merito di...
«Delle idee chiare di Roberto Mancini. In tre anni di tempo ha lavorato con lo stesso sistema di gioco nel quale gli azzurri si ritrovano comodi, ha cambiato qualche protagonista ma zero esperimenti, è andato dritto per la sua strada insomma ottenendo adesione convinta allo stile che voleva imporre».
C'è qualcuno degli azzurri che più di altri ha fin qui lasciato il segno?
«Quest'Italia è diversa dalle altre. Il Belgio s'incarna in Lukaku, il Portogallo ha il suo diamante in CR7, nella Francia fa paura MBappè, della Nazionale di Mancini faccio fatica a sceglierne uno solo. E questo può essere un vantaggio alla fine perché non si carica di aspettative un solo esponente».
Nemmeno Verratti?
«Lo conosco bene, l'ho allenato a Parigi, è un ragazzo acqua e sapone ma dotato fin da allora di grande personalità a cui ora ha aggiunto esperienza internazionale. È uno dei pochi, nel gruppo azzurro, che ha giocato la Champions: adesso che l'europeo entra nel vivo con le sfide da dentro o fuori, conterà anche questa qualità».
Ha colto qualche novità in queste prime settimane di euro 2020?
«Una sola, decisiva: il ritorno del pubblico negli stadi. Perché modifica l'atmosfera, procura una diversa emozione e persino le prestazioni dei calciatori possono cambiare. Se posso fare una citazione la dedico a Sheva e Tassotti che sono riusciti a qualificarsi con l'Ucraina. I calciatori di quel paese hanno un solo difetto: faticano a restare concentrati per tutta la partita».
Le armate tipo Spagna, Germania, Francia, hanno appena scaldato i motori...
«Era da ingenui immaginare che non ingranassero la marcia. All'elenco aggiungerei l'Inghilterra: in quella nazionale ci sono 6 esponenti reduci dalla finale di Champions league, un dato di grande rilievo per la competizione. Il vero discrimine è il tabellone del torneo. All'Italia, dopo l'Austria, toccherebbe il Belgio o il Portogallo e poi la Francia. Dall'altra parte sarebbe stato un viaggio più comodo. E infatti vedrete che l'Olanda arriverà tra le prime quattro».
Dalle nostre parti si discute più che dell'Austria, della polemica intorno alla questione se inginocchiarsi o no prima della partita. Cosa ne pensa?
«Da noi in Inghilterra è diventata un'abitudine, lo facciamo da un anno e mezzo e non c'è alcuna discussione sul punto. Io la penso così sull'argomento: non è fondamentale inginocchiarsi per qualche secondo. Non si risolve la questione. Il tema vero è: educare le nuove generazione alla questione del razzismo che è ancora presente nelle nostre società. E su questo bisognerebbe discutere e intervenire».
Che asticella rappresenta l'Austria?
«Alla nostra portata. Dirò di più: l'Italia, per le sue caratteristiche, per la freschezza che esprime, è in grado di giocarsela con tutte. Anche con le big del torneo».
È pronto a rischiare un pronostico?
«L'ho detto prima che iniziasse l'europeo e lo ripeto adesso: vedo in finale Inghilterra e Italia. I primi risultati sembrano confortare il mio pronostico. Spero che finisca proprio così».
Ha sentito del Milan? Donnarumma ha lasciato a zero, il club ha presto come sostituto Maignan: se l'aspettava?
«Ho parlato con Paolo Maldini e gli ho espresso il mio compiacimento, è stata una scelta che ha fatto rumore. Maignan, poi, lo conosco: quando ero al Psg, era un ragazzo, e intuendone le doti, lo facevo allenare spesso con la prima squadra. È un tipo molto freddo, essenziale nella tecnica. Vedrete: non sarà mai spettacolare, sarà sempre molto concreto e utile».
Mendes ha di recente offerto James Rodriguez, una sua vecchia fiamma calcistica, al Milan: che giudizio può spendere?
«Un talento purissimo, un grande calciatore. Ha avuto qualche problema fisico e il suo contributo alla causa è stato perciò ridotto».
Non posso non chiederle della Superlega: ha per caso cambiato idea tornando al Real Madrid?
«È l'unica domanda a cui non rispondo».
Durante le sue vacanze in Sardegna ha sentito qualche vecchio sodale?
«Quando ho letto del ricovero del presidente Berlusconi, ho chiamato Galliani per avere notizie e lui mi ha incoraggiato a telefonargli. Ne sono uscito molto rassicurato. Sa, dopo i saluti, la prima domanda che mi ha fatto?».
No, quale?
«Mi ha chiesto: Carlo, cosa ne pensi della costruzione dal basso che va tanto di moda nel calcio di oggi? E io gli ho risposto: Presidente, dipende dai piedi dei difensori. E lì ho capito che stava bene».
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