Nel giorno in cui Cristoforo Colombo scoprì il Venezuela noi pregheremo per i nostri velocisti Jacobs e Tortu che proveranno a scrivere una pagina gloriosa per l'atletica italiana che a Tokyo non sembra davvero figlia di scuole dove lo sport, per insegnanti, famiglie, è soltanto una perdita di tempo e per questo considerato peccato e non educazione. Per la verità Marcell Jacobs ci è già riuscito nelle batterie dei 10O metri vincendo la corsa in 994, togliendo un centesimo al suo record italiano, lasciando ad un metro l'inglese Seville, il migliore nella fornace delle qualificazioni per gli uomini più veloci del mondo dopo il canadese De Grasse (991), ma, si sa, le batterie olimpiche, mondiali, sono sirene che cantano e spesso soltanto per ingannare. Jacobs lo sa di sicuro e infatti alla fine, mentre in troppi danzavano intorno al suo fisico possente, ha gettato un secchio d'acqua sul falò anticipato, spiegando come stavano le cose: «Non ho corso benissimo, ma la pista era veloce». La verità la sapremo oggi fra mezzogiorno e le tre perché la prova bellissima del ragazzo di El Paso, cresciuto a Desenzano del Garda, va considerata come prova generale nella mai imitabile tragedia della finale olimpica sui 100 metri. Tutto può cambiare nella notte. Ad esempio Bromell, uno dei favoriti, entrato in semifinale fra i tre ripescati come il nostro Filippo Tortu, non può essere la marionetta sgraziata che non ha trovato la qualificazione diretta. La notte cambierà tante cose, porterà consiglio a quelli che hanno sbagliato, magari darà una visione nuova al Filippo Tortu, secondo dei ripescati, che in questa stagione mascherata non aveva corso i 100 come ieri, un 1010 che ha dentro tanti dubbi e molte cose buone.
La storia dice che, anche nell'età dell'oro di Berruti o Mennea, non abbiamo mai avuto un italiano nella finale dei 100: Jacobs può crederci e, dopo ieri, fa bene a pensare che sarà rispettato da chi lo aveva già misurato nella riunione di Stoccolma. Il rispetto, però, non basterà. Ci vogliono piedi d'acciaio e testa giusta. Lui che ha conosciuto già il piccolo altare nazionale e la polvere per infortunio sembra pronto. Su Tortu nessuna scommessa. Lo aspettiamo dal 999 che ha cambiato la sua vita a Madrid troppo tempo fa. L'occasione è storica, la concorrenza non così spietata come quando si partiva per mangiare la polvere di Bolt. Provateci. Fate come l'austriaco che nella finale del disco ha insidiato fino all'ultimo la coppia svedese Stahl-Petterson lasciando giù dal podio altri favoriti.
Le Olimpiadi sono magiche anche fra le mascherine, con le tribune vuote. Conta tutto, la tecnica, l'abilità, ma è la testa a fare legge. Ieri, ad esempio il nostro astista Stecchi non ha trovato la misura per qualificarsi nel giardino di Duplantis, ma il saltatore in lungo siciliano Randazzo, saltando alla prima prova 8.10, ha fatto il suo capolavoro guadagnandosi la finale in una gara dove rivedremo dopo oltre cent'anni un fenomeno come Jim Thorpe, perché l'americano Harrison, già qualificato per la finale dell'alto, dove oggi a mezzogiorno soffriremo per Tamberi, si è guadagnato per domani anche la festa dei saltatori in lungo rimasti senza parole ieri quando Juan Miguel Echevarria, cubano ventitreenne di Camaguey, si è presentato in ufficio per il primo salto di qualificazione, quasi senza togliersi la giacca, atterrando a 8.50, uscendo dallo stadio dopo 14 secondi con il sorriso di chi ha voglia di farsi amare dal mondo.
Lo stesso che avevano i quattro ragazzi della staffetta mista polacca, una gara nuova sui 400 dove l'Italia aveva speranze svanite in qualificazione, dove con due nati dopo il 2000 si sono guadagnati la gloria battendo i bulletti americani che sono arrivati anche dietro la repubblica Dominicana.
Fascino e misteri dell'Olimpiade che resta magica, unica, anche in quarantene forzate, scoprendo, ogni tanto, qualche imbroglione. Ieri nelle batterie dei 100 e nelle semifinali delle donne, due esclusi non per falsa partenza, ma per aver bevuto il proibito, la nigeriana Okagbare, il keniano Odhiambo che aveva un record di 1005.
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