La scena è di qualche giorno fa, campo centrale di Milanello, raduno di tutta la rosa milanista, al centro c'è Allegri, l'allenatore, che parla. Toni decisi, frasi secche e poi all'improvviso un colpo d'ala. Il predicozzo è di durata brevissima, 30 secondi appena: «Guardate tutti questo signore, che ha vinto, tra l'altro, il Pallone d'oro solo qualche anno fa. E che sul conto corrente ha qualche soldino che gli consentirebbe di fare una vita comoda. Arriva un'ora prima di tutti e va via un'ora dopo. Prendete esempio da lui». Non c'è bisogno di una spia per capire che davanti a tutto il Milan schierato con le mani conserte, l'esempio indicato è Ricardo Kakà, 31 anni, da qualche sciagurato incompetente considerato già finito per via di quell'acciacco tradito al debutto, a Torino, e per le modalità di partenza da Madrid (via a titolo gratuito). Nei giorni successivi al suo arrivo il ritornello ascoltato in più trasmissioni è stato sempre lo stesso, scontato: «Ancelotti lo conosce bene: se fosse stato utile al Real lo avrebbe tenuto e rilanciato lui». Bestia se qualcuno di codesti soloni si fosse avventurato nell'interpellare a microfoni spenti Carlo Ancelotti, se avesse per caso letto i giudizi dei sanitari che hanno sottoposto il brasiliano dal cuore tenero a visite mediche approfondite. Niente. Han tirato dritto per la loro strada e imbastito ironie sulla decisione, a suo modo clamorosa, di sospendersi lo stipendio per via dell'accidente muscolare.
Ricardo Kakà non è il tipo da portare rancore e nemmeno da ascoltare certi parrucconi televisivi, non conosce la vendetta, semmai insegue, come ogni sportivo di razza, la rivincita. Che è arrivata, puntuale, nella prima notte di Champions, col Barcellona. Durante la quale Allegri gli ha chiesto di mettersi al servizio del gruppo asfaltando la corsia mancina, rinculando a protezione di Constant per tenere al guinzaglio quel diavolaccio di Dani Alves che in passato fece ammattire mezzo Milan. Dopo 71 minuti è uscito tra gli applausi di uno stadio intero che lo ha riconosciuto al buio prima di tributargli affetto e stima per la perfomance di martedì notte. «Sapevo che il Milan sarebbe stata la scelta giusta, che avrei trovato calore, stima ed affetto, e ne sono ancora più convinto» la sua semplice chiosa. «Allegri sa in che ruolo farmi giocare ma se serve faccio anche il terzino» la sua seconda nota a margine. Terzino, proprio come è accaduto martedì sera quando ha provato ed è riuscito a recuperare uno, due palloni decisivi prima di ripartire, veloce e imprendibile, come ai vecchi tempi, quando zizzagava realizzando gol da cineteca. «Kakà è stato straordinario e non parlo della tecnica, parlo dell'impegno e del sacrificio» il pagellino di Allegri che ha ripetuto in pubblico quello che aveva spiegato, in privato, ai suoi, a Milanello.
L'intento è evidente. Tutto il Milan, a questo punto, è deciso a utilizzare Kakà, la sua rinascita tecnica ma anche il suo modo esemplare di essere campione, per tentare di contagiare l'estro mutevole e il temperamento ribelle di Mario Balotelli il quale ha concluso il suo pezzetto di Milan-Barça senza lasciare tracce, anzi dando calcioni simbolici all'aria umida di San Siro.
Per lui, Mino Raiola, ha sistemato una bomba-carta sotto la pancia del club con quella frase («non finirà in Italia la carriera, qui c'è troppa pressione», come se in Inghilterra non fosse accaduto di peggio, di molto peggio) cui Galliani ha replicato dandogli del «furbacchione» per chiudere la discussione e conferire alla vicenda il contorno di una dichiarazione tattica. Questo è Kakà per chi ha fede e chi pensa che sia una patacca di ritorno, incuriosito dal giocare al fianco di Mario, e diventato, a sua insaputa, il tutore trasversale dell'irascibile Balotelli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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