Non ci sono presepi e lacrime e raduni di nostalgici con il santino tra le mani. Non ci sono registi da oscar e letteratura epica. È il destino dei signor Rossi, su tutti di Paolo che li riunisce assieme. Il suo piede di Dio ci manca da quando aveva smesso di giocare a pallone, la sua assenza di uomo dura da un anno e sembra davvero un tempo lontano perché questi mesi e giorni sono stati occupati dall'idolo mondiale, dunque Diego Armando Maradona al quale hanno dedicato anche lo stadio di Napoli, sottraendolo al santo che se si fosse chiamato Gennaro avrebbe resistito a qualunque tentativo di scippo profano. Il nostro Paolo non è affatto santo è semplicemente Rossi, basta e avanza per tenerlo dentro la palla di neve, con tutti i ricordi che si porta appresso. E sono mille, dai giorni del collegio di Villar Perosa, alle giovanili della Juventus e poi il Vicenza di quel briccone di Giuseppe Farina e quel pescatore di sardo che si chiamava G.B Fabbri. Poi il Milan, la nazionale, senza trascurare Perugia e Verona e così annotando che, oggi, sarebbe andato a offrire i suoi numeri all'estero, chessò in Premier, o in Spagna dove lasciò un segno memorabile.
Il ragazzo di Prato era timido ma furbo assai, in campo si faceva vedere per un movimento rapido, la finta di andare a sinistra e poi lo scatto immediato dalla parte opposta, lo consideravano poco e lui segnava tanto, non aveva fisico palestrato, nonostante quadricipiti duri e potenti e il senso del gol che qualunque attaccante dovrebbe avere e che Paolo ha da sempre posseduto. Fortuna sua e fortuna delle squadre che hanno potuto godere del suo lavoro. Quest'anno è scivolato via come se ci fossimo dimenticati di un campione del mondo, capita quando la campagna pubblicitaria è indirizzata altrove, il fuoriclasse argentino ad esempio, il ritiro di Valentino e dalla Federica, l'europeo di Mancini, gli ori, olimpici e mondiali degli azzurri un po' dovunque. Era dicembre del duemila e venti quando fummo scaraventati di colpo, tristemente, all'estate dell'Ottantadue, la Spagna, le notti strane di Vigo, quelle caldissime di Barcellona, infine quella bellissima di Madrid. Quarant'anni, ieri, riassunti dai gol di Paolo ridetto Pablito, hombre del partido, incubo dei brasiliani che, si disse, dopo il triplete rifilato loro dal centravanti di Bearzot, ogni volta che provavano a rompere un uovo vi trovavano tre rossi. Bei tempi, si usa dire, tempi di malinconia piena pensando che quel ragazzo se ne è andato via in silenzio, improvvisamente, con la stessa discrezione con la quale, in fondo, aveva vissuto una carriera grandiosa, vestendo le maglie tra le più illustri del football italiano, Juventus e Milan, guadagnando il giusto, sicuramente meno di certi fenomeni contemporanei. D'accordo, passò anche giorni acidi, nell'estate delle scommesse, coinvolto in storiacce che non mutarono il suo percorso di carriera.
Un anno senza Paolo provoca anche rabbia e delusione, perché al di là del cordoglio e del dolore vero dei suoi famigliari e dei compagni di squadra di quel mondiale, il mondo italiano del football nulla ha fatto per onorarlo come si dovrebbe e come si sarebbe fatto in altri Paesi, l'Inghilterra innanzitutto dove la memoria non resta nei necrologi o coccodrilli dei giornali o nelle frasi di repertorio, nel lutto al braccio ma nelle manifestazioni istituzionali, negli stadi, nelle tribune d'onore, nelle curve dei tifosi. Abbiamo smarrito il senso del rispetto, Paolo Rossi è negli album delle figurine, in una statua un po' fredda nell'espressione del volto, situata nel piazzale della Cipressetta a Prato, lontano da tutto, come è stata l'ultima fetta di esistenza di Paolo, riservato nella malattia che lentamente lo stava rubando alla vita vera. Vicenza gli ha dedicato l'area davanti al Menti, Largo Paolo Rossi 9, i giovani che vivono di social si fanno raccontare chi mai fosse quell'attaccante che, con la maglietta a strisce biancorosse del Lanerossi, segnò 60 gol in novanta partite arrivando a far litigare Carraro, Farina e Boniperti per una busta all'interno della quale, Giussy, il presidente, scrisse miliardi due e milioni seicentododici, roba da far venire giù ministeri e banche: «Il calcio è arte e Paolo Rossi è la Gioconda», disse Farina che mai mise piede al Louvre ma sapeva di football come pochi.
Quel calcio non esiste più, molte Gioconde sono falsi d'autore, il mondo corre troppo veloce e con una ferocia che finisce per stracciare i propri idoli.
Un film su Paolo Rossi è difficile perché non comporta tragedie, esistenze disperate, storie di quartiere, dunque non ci sono registi furbastri pronti a sfruttare quest'uomo e la sua epoca comunque bella e vincente. Paolo è stato un campione normale, questo il suo limite, per me un privilegio. A chi ci lascia, diciamo che riposi in pace. Paolo in pace ha saputo vivere. Quest'anno, senza il suo sorriso, ci è sfuggito via di mano.
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