Peter Fill resterà nella storia dello sci italiano. Non tanto, non solo per le due medaglie mondiali, argento in superG nel 2009 e bronzo in combinata due anni dopo. No, Peter Fill lo ricorderemo soprattutto per essere stato il primo a portare in Patria l'ambitissima sfera di cristallo della discesa, sempre sfuggita a un simbolo della velocità azzurra come Kristian Ghedina, ma anche a Bode Miller e ad altri grandi del passato. Il bello è che Peter non si è accontentato di una, no, di coppe di discesa ne ha vinte due consecutive, aggiungendo alla sua collezione anche un trofeo di combinata.
Risultati da fenomeno, ciò che in realtà Peter non è mai stato, almeno non per ciò che riguarda i podi (22) e le vittorie (3) in coppa del mondo. E allora? Le sue conquiste sono la prova lampante che spesso, nei circuiti a punti, chi sa essere regolare raccoglie più di un vincente che sbaglia spesso. Non si offenderà Peter se scriviamo che senza l'infortunio di Svindal, nel 2016 la coppa sarebbe finita a Oslo e non a Castelrotto, mentre l'anno dopo, con il norvegese ancora fuori gioco, Fill conquistò il primato senza vincere nemmeno una gara, sfruttando i suoi ottimi piazzamenti e gli errori altrui. Ma nello sport, ce lo ha ricordato molto bene sul campo di Melbourne il Dio del tennis Roger Federer, serve anche un po' di fortuna. Fill è stato pronto a coglierla, come Federer giocando i sette match ball di Tennys Sandgren. Di sicuro la fortuna nella carriera di Peter è stata ampiamente controbilanciata dalla sfortuna, arrivata sotto forma di infortuni subdoli. Non si è mai rotto il famigerato crociato, ma ha avuto infiammazioni, stiramenti e strappi muscolari, problemi difficilmente codificabili e quindi curabili. Il più grave nell'estate del 2009, dal quale si rimise giusto in tempo per sfiorare l'impresa ai Giochi Olimpici del 2010, quando sbagliando a pochi metri dal traguardo perse una medaglia quasi sicura in superG. Il podio olimpico resterà la ciliegina mancante della sua carriera, lo ha detto lui, per il resto più che soddisfatto di ciò che 18 anni al massimo livello e 354 partenze in coppa gli hanno riservato. Peter sarà ricordato come atleta leale, gentile, sempre pronto a condividere con i giovani la sua vastissima esperienza. In pista mancherà per la sua capacità di rendere facili i passaggi difficili, di azzeccare le linee giuste al primo colpo, grazie a un istinto da velocista che oggi come oggi solo il numero 1 Beat Feuz può vantare.
Alberto Ghidoni, allenatore di Peter per moltissimi anni, ha sempre detto che quando in pista passava lui non si sentiva rumore, perché Fill aveva due doti rarissime: piedi dolci e tocco neve leggero. Avrebbe voluto dire addio sulle piste di Cortina, alle finali di coppa del prossimo marzo o magari ai Mondiali del 2021. Negli ultimi mesi ha però capito che il suo tempo era finito, perché a 37 anni non puoi sperare di fare risultato se scii con dolore. A Kitzbühel la sua ultima passerella è durata pochissimo: ha perso uno sci sul muro più ripido.
Ne farà un'altra domani a Garmisch, più folcloristica e meno rischiosa. Poi avrà finalmente tempo da dedicare alla sua bellissima famiglia, Manuela e i tre bambini, e alla sua casa. E per pensare al futuro, che potrebbe essere da tecnico. La squadra avrebbe solo da guadagnarci.
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