Masiello, il "Thuram bianco" che fa autogol per arricchirsi

La doppia vita del giocatore: in pubblico idolo dei tifosi, dietro le quinte leader del terzetto finito in cella e degli altri 20 indagati

Masiello, il "Thuram bianco" che fa autogol per arricchirsi

Il derby venduto e l’autorete della sicurezza. «Voglio aggiungere che, quando il risultato era sullo 0-1, ho sfruttato un’occasione che mi si è posta per poter cristallizzare definitivamente l’esito di sconfitta per il Bari e per poter - quindi - ottenere il pagamento promessomi, realizzando così l’autogoal con cui si è concluso l’incontro». Eccola qui l’ammissione in extremis di Andrea Masiello, oggi all’Atalanta, affidata a una nota al pm del 28 marzo scorso, per evitare l’arresto a cui non è scampato insieme ad altri due sodali, Carella e Giacobbe, per non dire dei 20 indagati complessivi. Una confessione che certifica la combine di Bari-Lecce 0-2, penultima giornata dello scorso campionato di A. Combine unica nel suo genere, perché finalizzata non a lucrare sulle scommesse, bensì a garantire ai salentini la permanenza in A e a Masiello e ai suoi sodali, Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, tra i 250mila e i 300mila euro. Un prezzo per il tradimento che il difensore del Bari - autore nel derby di una «autorete dolosa» - osserva il gip - andò a ritirare a Lecce, in agosto, da un misterioso emissario, probabilmente un dirigente della squadra salentina. Il giocatore Rossi, interrogato il 27 gennaio 2012, fa riferimento a emissari mandati «dal figlio del presidente del Lecce, Semeraro». Il sentitissimo derby «venduto» è una specie di specchio del modus operandi dell’associazione per delinquere che inquinava il calcio barese, e non è un caso che i pm sintetizzino quel sistema come «protocollo Masiello». Perché l’ex terzino biancorosso è al centro di tutto, è il «leader indiscusso» del sodalizio. Descritto nelle carte come una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde, «idolo della curva» barese e al contempo veicolatore ai compagni di «proposte illecite» per «addomesticare» gli incontri della sua squadra, e capace persino di «risolvere» le combine «nel senso auspicato», anche quando quell’esito sia «deteriore per la squadra dalla quale viene stipendiato». Come nel caso di quell’autorete, sulla quale si becca gli improperi del portiere-capitano Jean François Gillet, che suggella la vittoria e la salvezza del Lecce proprio nello stadio dei rivali. C’era il Masiello leader della squadra, che cercava di confermarsi degno del giudizio che ne aveva dato Fabio Capello - è un «Thuram bianco» - e nemmeno un anno fa faceva mea culpa, rassicurava i tifosi e quasi spaccava la tifoseria entrando in contrasto proprio col portiere amato in città. E c’era il capo della banda del trucco, «sempre pronto a lucrare su ogni partita». Un doppio volto che si riflette anche sul fronte giudiziario, perché il difensore ora in cella dal momento del suo coinvolgimento cambia tre volte versione. Masiello passa «da una sostanziale chiusura nel primo interrogatorio, in cui appare reticente», a una «solo apparente apertura» nel secondo, quando nega la volontarietà dell’autorete nel derby (attribuita a un «turbamento»). E persino nella nota spedita mercoledì ai pm dove «appare cauto e misurato» e, per non rivelare l’esistenza del «sistema», «ammette il minimo possibile». La confessione sull’autorete «dolosa»? «Non fa che ammettere l’evidenza», dice il gip, che lo arresta perché a breve ci sono «incontri di serie A tra squadre prive di ambizioni di classifica o (...

) appagate», uno «stato di cose che costituisce l’humus vitale per l’operatività del “protocollo Masiello”». Anche altri giocatori erano pronti «a fare mercimonio delle proprie, invero sbiadite, prestazioni professionali in favore del miglior offerente». Ma almeno l’autogol nel derby se lo sono risparmiato.
GMC-MMO

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