Matteo, serve la svolta altrimenti rischiamo la sindrome "Italrugby"

Berrettini è bravo, da applausi ma alla fine perde. Come gli azzurri della palla ovale. Deve vincere

Matteo, serve la svolta altrimenti rischiamo la sindrome "Italrugby"

Siccome Matteo Berrettini è il primo a non essere contento, questa volta possiamo dirlo anche noi. Che lo abbiamo accompagnato col tifo in questa magnifica avventura australiana e che - mai contenti - ci aspettavamo qualcosa di più dalla semifinale contro Rafa Nadal. Certo, il tennis non fa sconti a nessuno quando ti trovi a giocare la tua terza semifinale slam contro uno che ne ha già disputate 35 e che ha vinto 20 Major. Certo, solo due mesi fa Matteo era uscito dal campo in lacrime durante le Atp finals di Torino, con un futuro incerto davanti all'ennesimo guaio fisico. Certo: Nadal è Nadal. Però dobbiamo dirlo: è mancato qualcosa, sicuramente troppo. Soprattutto nei primi due set.

E insomma: contro un Rafa un po' usurato e che - per sua stessa ammissione - solo un mese e mezzo fa non sapeva se avrebbe fatto ancora il tennista dopo l'operazione al piede («mi svegliavo ogni mattina chiedendomi se avrei rivisto il campo»), abbiamo visto - soprattutto all'inizio della partita - un giocatore «sfasato». E non doveva essere il caso. D'altronde lo ha detto serenamente Matteo, nella conferenza stampa seguita alla sconfitta in 4 set: «Sì, all'inizio ero un pochettino sfasato. Ci sta, perché non capita tutti i giorni di entrare in campo contro Nadal in una semifinale Slam, ma la prossima volta vorrei fare meglio. Lui ha giocato una partita di grandissimo livello. Io sono rompipalle con me stesso, sento e credo che posso fare di più. La prossima volta non è detto che vinca, ma spero possa essere ancora migliore». Qui è tutto quello che è Berrettini: sereno dei giudizi, insoddisfatto per carattere, già rivolto al futuro. Ma quale?

Matteo salirà al numero 6 del mondo, e avercene. Ha dimostrato a Melbourne di essere un campione, ha confermato di essere il nostro numero uno, per tennis e mentalità. Ma c'è ancora un gradino da fare, e il suo coach Santopadre - altra persona dotata di intelligenza di giudizio - lo ha spiegato così: «C'è qualche rimpianto. Ma contro Nadal la coperta è sempre corta». Ancora corta.

Insomma: non è per essere ingrati o troppo criticoni, ma c'è un limite che Matteo ancora deve superare. Serve una svolta: negli Slam finora ha perso tre volte con Djokovic, due con Nadal e una con Federer («quale è il più difficile da incontrare? - ha detto con ironia - Beh, finora ho sempre perso con tutti e tre...). E non ci sono solo i tormenti fisici ai quali ha opposto tenacia salendo dov'è ora, ma c'è ancora un blocco mentale a sbarrargli la strada verso il traguardo.

Matteo è da Slam, non uno di quelli a cui bastano gli applausi del tipo (fin qui) nazionale di rugby: «Ha perso, ma è bravo». A Matteo serve l'ultimo step, quello che gli farà dire «avete visto?». Noi aspettiamo con ansia quel momento, sapendo però che c'è solo un modo per arrivare a vincere. Ovvero, quando è arrivato il momento, vincere.

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