Minacce a giocatori per perdere Arrestati tre ultrà del Bari

Minacce a giocatori per perdere Arrestati tre ultrà del Bari

Massimo Malpica

RomaPer avvilire Bari, e il Bari, ci mancavano solo le manette ai capi ultras con un’accusa infamante: aver minacciato la squadra, l’anno scorso, per «invitarla» a perdere due match su cui avrebbero scommesso. E dopo la retrocessione che ha soffocato in culla gli entusiasmi per il calcio spettacolo del primo anno in A (lo chiamavano «Baricellona», ora langue in cadetteria), i guai sembrano non finire mai. Prima le ipotesi di combine per lucrare su una, due, troppe partite del disgraziato finale della scorsa stagione. Poi l’ex idolo della tifoseria, Andrea Masiello, che ammette nero su bianco di aver intascato soldi e di aver provocato un autogol per perdere la partita più sentita, quella con i «cugini» leccesi, che festeggiarono la salvezza al «San Nicola». E adesso, l’arresto, con l’accusa di concorso in violenza privata aggravata, per tre capi storici della curva barese: Alberto Savarese, detto il «Parigino» (ai domiciliari), Roberto Sblendorio e Raffaele Loiacono (in carcere).
I tre, secondo l’ordinanza del gip, avrebbero costretto cinque calciatori del Bari (Andrea Masiello, Jean Francois Gillet, Massimo Donati, Nicola Belmonte e Alessandro Parisi) a «perdere le partite di calcio del campionato di serie A 2010-11 Cesena-Bari e Bari-Sampdoria», e l’avrebbero fatto con la violenza («consistita in uno schiaffo che Sblendorio sferrava a Parisi») e con le minacce. Uno scenario paradossale, emerso nel corso degli interrogatori in procura dei calciatori: il pm Angelillis cercava riscontri ai sospetti sul sistema di scommesse, ed è saltato fuori pure il triste siparietto con gli ultras. Le versioni sul punto del portiere, Gillet, dei difensori Rossi e Parisi e dello stesso «reo confesso» Masiello sono quasi sovrapponibili.
Tutti riferiscono delle minacce prima di Cesena-Bari. Frasi vergognose così riassunte dal gip: «Siete ultimi, avere fatto questo campionato di (omissis), non vi è mai successo niente, nessuno ha preso mazzate, domani dovete perdere (...) io sono in debito con gente pericolosa e rischio di morire e ho bisogno di soldi (...) voi ora ci dovete fare un favore a noi (...) se volete fare una vita tranquilla fino a fine anno». E secondo il gip, l’episodio lo confermano anche - loro malgrado - i due ultras finiti in carcere, Sblendorio e Loiacono, che parlando sotto intercettazione «ricordano di avere effettivamente avvicinato minacciosamente i calciatori per indurli a perdere dopo “aver parlato con tutta la curva”». Solo Parisi, lo «schiaffeggiato», aggiunge che il giorno dopo gli ultras si sarebbero ripresentati allo stadio per fare marcia indietro: «Dimenticate quello che vi abbiamo detto ieri e giocatevi le partite fino alla fine. Se non vincete con il Lecce vi ammazziamo». Sempre una minaccia, ma almeno finalizzata a danneggiare l’avversario di sempre, non la propria squadra.
Di certo Gillet e compagni, persino Masiello, riferiscono agli inquirenti che, nonostante le pressioni dei capitifosi, giocarono entrambi gli incontri per vincere. Ma manco a dirlo, il Bari quelle due partite le perse. Prima a Cesena, 1-0, e l’ordinanza riporta l’impietosa cronaca del gol subito, con la «complicità dell’immobile difesa biancorossa, ancora una volta perforata per vie centrali... un cocktail di errori: di posizione, di “tempo” dell’uscita, di linea». E poi in casa con la Samp, stesso risultato al termine di una «sconcertante partita», annota ancora il gip, che conclude osservando che «non sembra che, in campo, i calciatori del Bari manifestino la propria volontà dichiarata al pm di “giocarsi la partita”». Quelle dichiarazioni zelanti, insomma, sarebbero solo un tentativo dei giocatori di evitare guai con la procura federale, mentre per il giudice è «più logico e coerente ritenere» che le minacce abbiano «orientato il risultato tecnico nel senso imposto».
È l’ultima pennellata a un quadro desolante, quello di una squadra allo sbando, «invitata» a perdere dall’interno (con il «sistema Masiello») e dall’esterno (gli ultras), con buona pace dell’etica sportiva, sacrificata sull’altare delle scommesse, e in barba ai malcapitati tifosi «veri», costretti a sorbirsi una sconfitta dietro l’altra, mentre la società dei Matarrese, assente, era incapace di fornire ai suoi tesserati «adeguata protezione», e si limitava a invitare gli atleti «a tapparsi le orecchie e a giocarsi le partite».
Ma l’ordinanza di arresto dei tre capi della curva, affrontando il capitolo delle esigenze cautelari, rivela altre minacce, e spiega il diverso trattamento riservato a Savarese (come detto ai domiciliari) rispetto a Loiacono e Sblendorio, spediti dietro le sbarre. Gli ultimi due, intercettati quando la vicenda delle «pressioni» era già finita sui quotidiani (dopo l’arresto di Masiello), si lasciano andare a propositi vendicativi nei confronti di giornalisti e calciatori. Sblendorio prima si professa innocente («io non c’entro niente in mezzo a questa cosa (...) io non me le sono vendute le partite del Bari»), poi se la prende con l’ex capitano biancorosso, Gillet, ora al Bologna, considerato il loro accusatore («Se sapevo gli davo mazzate purea a lui, quel figlio di...»). Ma soprattutto ce l’ha con due giornalisti, Aurelio Magistà di Telenorba e Carlo Foschini di Repubblica, verso i quali «non nasconde il proprio intendimento ritorsivo», come se aver raccontato quanto scoperto dagli inquirenti fosse un’onta da lavare col sangue. «In altri tempi avremmo spaccato tutte cose, bombe a Repubblica, mazzate a Magistà», dice Sblendorio a Loiacono, prima di alzare il tiro, ipotizzando di andare «questa mattina stessa a Repubblica... Foschini chi è? Conosci Foschini? (...

) lo mandiamo all’ospedale (...) almeno tu sai che vai in galera e alla persona l’hai uccisa». Auspici che ai due sono costati il carcere. Mentre l’unica cosa che al momento sembra morta, nell’inchiesta barese, è la credibilità del dio pallone.

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