La lenta camminata a testa bassa nel tunnel che porta fuori dalla Rod Laver Arena è un'immagine simbolo della carriera di Rafael Nadal. Lui nel tunnel, quello degli infortuni, ci era appena tornato, e una parola che echeggia in conferenza stampa è il segnale che quello che lui non vorrebbe, ma potrebbe, considerare inevitabile. «Credo», dice, ed è la prima volta che gli sfugge: «Ho attraversato questo processo troppe volte nella mia carriera, e sono pronto a continuare a farlo, credo. Ma non è facile, senza dubbio».
E allora: a 36 anni e dopo tante battaglie, il tennis, lo sport, la vita, cominciano a presentare il conto. Non è ancora una resa, ma poco ci manca. Anche se di resa, a casa Nadal, non si parla mai. «Odio ritirarmi da una partita», ha sempre affermato. E non l'ha fatto neanche questa volta contro l'americano Mackenzie McDonald, nonostante l'anca avesse ceduto, tanto da non poter quasi neanche colpire di rovescio. Ma la verità è che anche prima di quella fitta, il match era già una pallida copia di quelli che sono sempre stati. E il problema, adesso, è soprattutto il dopo. Rafa Nadal non si è ritirato dal campo, perché un campione prima di saper vincere, deve saper perdere. E lui sa come si fa. Quei tre set a zero (6-4, 6-4, 7-5) un po' umilianti, sono diventati invece l'ennesima dimostrazione di cosa voglia dire rispettare l'avversario: «Alla fine è meglio così. Ho perso. Niente da dire. Congratulazioni a lui. Questo è lo sport allo stesso tempo: fai del tuo meglio fino alla fine, non importa le possibilità che hai. Questa è l'essenza stessa dello sport». Questa è l'essenza di Rafa.
Poi però ora c'è la partita più difficile, quella che ti fa dire cose che non avresti mai voluto sentire da te stesso, da quella vocina interiore che ti costringe a fare i conti con la realtà: «Non posso dire di non essere distrutto mentalmente al momento, perché starei mentendo. Spero non sia niente di grave, perché poi è difficile recuperare di nuovo. C'è una quantità di lavoro per tornare a un livello decente: l'ho fatto tante volte nella mia carriera, sono pronto a farlo ancora una volta. Credo». Così Melbourne, dentro quel tunnel, vede l'inizio di una fine della quale si comincia a parlare, quasi fosse un tabù a cui non bastano più i cerotti per stare insieme: «Proverò ancora a lottare, perché mi piace quello che faccio, mi piace giocare a tennis. So che non durerà per sempre, eppure mi piace ancora lottare per le cose per cui ho combattuto per quasi metà della mia vita o anche di più. Non è un sacrificio: il sacrificio è quando fai qualcosa che non ti piace». Lo avrà pensato, mentre camminava lentamente con il borsone in spalla e con la tristezza nel cuore. E il futuro forse è già scritto: «Non so cosa possa succedere. Ho passato sette mesi giocando quasi niente, e ora se devo passare ancora molto tempo fuori, diventa molto difficile alla fine restare al mio ritmo ed essere competitivo. Diventa difficile lottare». Diventa difficile doversi davvero ritirare. Stavolta davvero.
SINNER OK Jannik Sinner
accede al terzo turno battendo 6-3, 6-2, 6-2 etcheverry. Fuori invece Fognini (battuto facile da Kokkinakis) e Sonego, sconfitto in 5 set da Hurkacz. Bene Lucrezia Stefanini che ha battuto 3-6 7-5 6-4 la tedesca Tatjana Maria.
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