Ribaltone Thohir: "Con Mancini Inter di nuovo al top"

Domenica il contatto, ieri notte la svolta per riportare il tecnico degli scudetti. Contratto con bonus Champions. Il patron felice: può parlargli in inglese

Roberto Mancini
Roberto Mancini

Decisione in stile morattiano: un blitz a Roma per convincere Mancini eppoi, ieri mattina, la telefonata a Mazzarri poco prima dell'allenamento: «Grazie, passi alla cassa». Oggi l'Inter ricomincia con Roberto Mancini, sei anni dopo un turbolento addio, contratto di due anni e mezzo a 4 milioni netti l'anno: in questi otto mesi sarà stipendio con sconto, ma con la clausola di un sostanzioso bonus in caso di zona Champions. Stavolta Thohir si è lasciato trascinare dall'amor di squadra, cercando di farlo coincidere con l'amor di business. I discorsi di lunedì con Moratti, ma anche quelli di 15 giorni fa, gli hanno infilato il dubbio. E quel ritardare la partenza di un giorno è stato il segnale: martedì sera ha chiamato i suoi dirigenti: «Provateci! Sentite cosa risponde».

Il nome di Mancini correva sulla lingua di tutti da almeno un mese. Poi, domenica sera, il primo contatto telefonico, informale per sondare: da Parma in poi la dirigenza interista aveva cominciato a perdere convinzione su Mazzarri. Intorno a Mancini c'erano stati segnali, indiscrezioni, chi lo aveva visto a Bologna per un incontro con i dirigenti nerazzurri, e lui a ribattere che si trattava di una questione riguardante il Bologna, chi ha tratto conclusioni dalla presenza a Cesena. Mancio aveva sempre negato, ma poi stranamente ricordava su internet la sua storia all'Inter, le conquiste che sono sette. Buttava lì qualche battuta. «Nel calcio può sempre accadere di tutto». Desiderio conscio e inconscio, oltre a qualche spiffero. Moratti avrebbe avuto piacere di rivederlo sulla panca dalla quale lo aveva cacciato, perchè già d'accordo con Mourinho. E ieri ne ha ripercorso l'idea. «Sono felice per Roberto: è molto bravo, grande lavoratore, e sarà necessario lavorare. Con lui ho vinto e ora spero che farà bene. Ha un profilo altissimo? Sì, certamente». Negando anche la paternità dell'idea, seppur sia stato informato prima. «Thohir aveva certamente in mente di farlo. Era inevitabile? Dovete chiederlo a lui più che a me, ma credo si fosse arrivati a questo punto».

Mancini ha avuto la pazienza di attendere e Thohir non ha avuto più pazienza con Mazzarri: prima di partire per l'Indonesia ha dato mandato a Fassone e Bolingbroke. Un giorno di trattative a Roma, una notte per definire il contratto. E ieri mattina il colpo di scena: anche per Mazzarri. Ed è stata l'unica scelta, Zenga non era in gara.

Primo caso di allenatore esonerato e ingaggiato via skype, in conference intercontinentale. Thohir finalmente ha trovato un tecnico che parla inglese e le telefonate sono state lunghe. Il nuovo allenatore ha condiviso la linea societaria, si è dimostrato entusiasta, ha capito le esigenze e concesso giudizio positivo sulla squadra. E chissà che ora Thohir trovi meno contrasti interni, o nuove finanze da sponsor, per ricapitalizzare. Il saluto a Mazzarri è stato da copione: «Scelta difficile, Mazzarri ha sempre sostenuto le scelte del club, lavorando instancabilmente e con grande altruismo». Il buongiorno a Mancini sottolinea la scelta da top club: «Il nostro obiettivo è quello di riportare l'Inter ad essere uno dei top club d'Europa. La carriera all'Inter, come altrove, parla per Mancini. Porterà la squadra a un livello più alto e spero che i tifosi tornino a San Siro». Dove si intuisce tutta la critica a Mazzarri.

Ieri Mancini ha mandato via twitter un saluto a tutti. Stringato come nelle abitudini: «Una nuova stimolante sfida, sono contento di riabbracciare i tifosi nerazzurri. A domani». Oggi si metterà al lavoro. Porterà lo staff dei fedelissimi, si aggiungerà Daniele Adani attento studioso delle tattiche, che ha lucidato la competenza nell'esperienza con Sky. In attesa di qualche rinforzo invernale, poca roba perchè le casse societarie non sono proprio floride, metterà mano a quella difesa a quattro mai provata da Mazzarri. Solite due punte (Icardi e Palacio), Kovacic trequartista. Non è una nuova Inter, ma sarà un'Inter diversa. E Mancini si prepara ad una faticaccia. RiSi

«Per un campione non può esserci un presidente migliore, perché non solo tifa per te ma ti concede qualcosa più del normale». Così pensava e diceva Mancini Roberto riferendosi a Moratti Massimo, "il migliore", l'uomo che lo portò all'Inter e con lui celebrò tre scudetti. Ora il presidente ha lasciato la poltrona a un indonesiano che non scalda i cuori e il portafoglio, ma Mancini Roberto ha deciso di tornare all'amore di sei anni fa, abbandonato improvvisamente, come stracciando un album di fotografie. L'Inter è cambiata, sta cambiando, ma in fondo resta la stessa, imprevedibile, pazza. Thohir ha scelto l'uomo che potrebbe e dovrebbe rappresentare la svolta, il rilancio. C'è un derby da giocare, è l'evento, lo capisce anche un uomo che viene da Giacarta e si è reso conto che gli affari sono una cosa ma il football abbisogna di fatti e di passione.

Mancini torna pensando di ripetersi e di ripetere. E' il sogno, qualcuno dice progetto senza conoscere bene il significato del sostantivo. E' il desiderio di molti, calciatori e allenatori, potrei dire anche giornalisti e direttori di giornali, sui politici basta la lunga storia nostrana: uscire e rientrare, di nuovo trionfare, il calcio è un albergo con la porta girevole, spesso ci si sbatte la faccia.

Quando Mancini arrivò all'Inter prese il posto di Alberto Zaccheroni uno che, come Mazzarri, non esalta gli astanti né con le parole, né con il gioco. In quattro anni il bell' uomo di Jesi, privilegiato nel suo avvio di carriera di allenatore da una deroga del presidente del Coni Petrucci, conquistò sette trofei e tre campionati, era il salvatore di una squadra presente, fino ad allora, nelle barzellette. Oggi l'aria sa di fumo, di bruciato e il Mancini 2.0 è una incognita. Come lo furono altri sodali suoi, da Herrera a Liedholm, da Trapattoni a Sacchi, a Lippi, a Capello, tutta gente illustre che cadde nell'errore della nostalgia, non ritrovando, tuttavia, nulla di quello che avevano lasciato.

Mancini ha fatto il giro di grandi chiese, è stato in Inghilterra e ha vinto, in Turchia e si è confermato, è intelligente, conosce le cose, sa trasferirle al cosiddetto gruppo ma stavolta chi è il capo in campo? Chi è il leader di questa Inter rivista e corretta? Moratti si è fatto da parte, la sua ombra resta lunga, nessuno potrà cancellarla, Thohir pensa di ricostruire il giocattolo vincente ma del nuovo allenatore conosce soltanto il curriculum e forse per sentito dire.

Resta il dubbio, come detto, di un ritorno che qualche maldestro chiama minestra riscaldata. A parte il fatto che la minestra riscaldata è a volte buona, migliore di tante pietanza cosiddette fresche, decongelate o sifonate, il football è fatto anche dagli uomini e questi cambiano o passano e come accadde con i casi già elencati, sono rarissimi gli esempi di un amore che si riaccenda come prima più di prima. Ci riuscì Carlo Parola alla Juve, vincendo scudetti prima e dopo, ci riuscì Nereo Rocco al Milan bissando persino la coppa dei Campioni.

Dell'Inter manciniana resta la memoria, ma restano anche le perplessità, Mancini non ottenne in Europa quello che invece, dopo di lui, seppe raggiungere storicamente e trionfalmente Josè Mourinho. Di certo la piazza nerazzurra torna ad agitarsi, ormai con Mazzarri era alla crisi di rigetto non comprendendo che forse una delle vere chiavi di lettura stia nell'uscita di scena di Moratti. Mancini ne prende, paradossalmente ma simbolicamente, anche il posto, questo pensano i tifosi che vivono della storia passata. Per lui l'Inter non esiste ma esiste l'Internazionale, così gli piace raccontarla, per riviverne la tradizione euromondiale.

Di quell'ultima squadra sua, sei anni dopo, non è rimasto nessuno, ma proprio nessuno, alcuni sono emigrati, altri esodati, altri ritirati. Vediamo se gli riesce di fare un governo e di vincere le elezioni. In caso contrario non resta che Mourinho.

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