"Sogno un altro Schumacher campione del mondo... Avversari più duri con me perché sono suo figlio Papà? Dietro al campione c'è l'uomo ancora più forte"

"Sogno un altro Schumacher campione del mondo... Avversari più duri con me perché sono suo figlio Papà? Dietro al campione c'è l'uomo ancora più forte"

M ick è un ragazzo tenero. Non esattamente una qualità da pilota di Formula 1. Mick è anche educato. Non una caratteristica consueta dei giovani campioni di oggi. Anche senza aggiungere il cognome a quel Mick ci si rende conto di trovarsi di fronte a merce rara nel panorama dello sport mondiale. Mick non è ancora un campione all'altezza del cognome che porta e forse non lo diventerà mai perché è uno di quei casi in cui la grandezza del padre è troppo grande per permettere un paragone. «Guardate che Mick non merita di correre in Formula 1 perché si chiama Schumacher ed è il figlio di Michael. Mick merita di esserci per quello che ha fatto nelle categorie inferiori», ci disse l'anno scorso Jean Todt prima ancora che il ragazzo diventasse campione anche in Formula 2. Aveva ragione, anche se Mick ha avuto poche possibilità per dimostrarlo guidando la Haas, la peggior monoposto del campionato, un'auto su cui la squadra americana non ha investito un dollaro tenendosi tutto il budget per la prossima stagione. La sua scuola guida è stata più difficile e complicata del previsto. Ha commesso qualche errore, ma è stato costantemente più veloce del suo compagno di squadra, totalizzando un 13-2 in qualifica. È vero che Mazepin non è un fulmine, ma è l'unico termine di paragone possibile perché gli altri sembrano tutti correre in una categoria superiore rispetto alla Haas.

«Quando ripenso al passato ha detto Mick nel documentario dedicato al padre e trasmesso su Netflix - le prime immagini che mi vengono alla mente sono quelle di noi quattro che passiamo bei momenti insieme. Mi rivedo mentre andiamo sui go-kart nella campagna o mentre cavalchiamo insieme dei pony. Sono attimi che ricordo con grande gioia... Dall'incidente quelle esperienze e quei momenti, che sono tipici di una famiglia, non ci sono più stati. Almeno, non più come in passato. E, a mio parere, tutto questo è proprio ingiusto... Credo che mio padre e io, adesso, ci capiremmo in maniera differente. Penso che parleremmo un linguaggio similare, il linguaggio delle corse. E avremmo tanto di cui parlare... è una cosa a cui continuo a pensare incessantemente. Penso a quanto sarebbe grandioso, a quanto sarebbe stato bello. Darei tutto per avere questa possibilità». La tenerezza di Mick emerge da queste frasi. Emerge il ragazzo di 22 anni che dal 2013 non può più parlare con il padre.

Mick, quanto è stato difficile partecipare al documentario su Netflix?

«Non è stato difficile, è stato emozionante. Volevamo raccontare come papà è arrivato a vincere tanto con il lavoro, i sacrifici, la cura dei dettagli. Ma anche far emergere l'uomo che c'è dietro al campione, raccontare la persona e quello che proviamo tutti noi».

Quando hai deciso che avresti voluto fare il pilota?

«Quando ho cominciato con i kart. Mio padre dopo un po' mi chiese: lo vuoi fare per divertirti o vuoi che diventi la tua professione? Lì ho deciso che avrei fatto il pilota».

Come è stato dirlo a sua madre?

«Facile perché mamma ha sempre appoggiato le mie scelte cercando di aiutarmi».

Con la mamma parla delle corse?

«Certo, lei mi è di grande aiuto. Era la persona più vicina a mio padre e può raccontarmi tante cose. È stata preziosa con i suoi consigli, sa che cosa serve a un pilota. Poter contare sui consigli di una persona che conosce l'ambiente che oltretutto è mia madre è fondamentale».

E con tua sorella Gina Maria?

«Lei è una mia grande tifosa e io lo sono di lei. Sono orgoglioso di come vada nel suo sport a cavallo. Cerchiamo di sostenerci l'un l'altro, di aiutarci a vicenda».

E con Jean Todt che rapporto ha?

«È un grande amico di papà e di mamma. Ci ha aiutati tanto in molte occasioni».

Essere il figlio di Michael è stato un vantaggio o ha aumentato la pressione?

«Ci sono piloti che sono più duri con me perché sono figlio di Michael. Ma non sanno che facendo così mi rendono solo un pilota migliore».

Quanto è importante il tuo rapporto con Sebastian Vettel?

«È importante per tanti aspetti. Posso definire Seb un amico. Per me è una grande opportunità potergli chiedere qualsiasi cosa e avere i suoi consigli per guidare in Formula 1, ma anche per tante altre cose. Non parliamo solo di auto, ma anche di vita. Possiamo dire che ero la persona più felice del paddock quando ha deciso di continuare a correre».

Come va con l'italiano? Ricordo che l'anno scorso un po' avevi cominciato a parlarlo.

«È difficile se non la pratichi costantemente parlare una lingua. Ci provo, ma non ho molte occasioni. Diciamo che non potrei sostenere quest'intervista in italiano, ma se andassimo a giocare a pallone potremmo parlare».

Come giudichi la tua stagione finora?

«Ho fatto delle buone cose, ma ho dovuto soprattutto imparare un sacco. Ci sono stati weekend difficili, soprattutto a Monaco dove sono andato a sbattere al sabato mattina. Ma alla fine ho cominciato a sentirmi bene in macchina e questo è quello che conta, oltre ad aver cominciato lavorare bene con il team».

Qual è stata la tua gara migliore fin qui?

«Probabilmente Budapest (partiva ultimo, è arrivato 12°). Anche a Sochi stavo andando molto bene, ero due secondi più veloce del mio compagno prima di essere bloccato da un problema».

Vista la differenza con le altre vetture, l'unico termine di paragone per giudicare le prestazioni è il tuo compagno? Sei soddisfatto solo quando sei più veloce di lui?

«No, io non sono mai soddisfatto. Fino a che non vincerò non sarò mai soddisfatto».

Quali sono differenze principali per un pilota tra la Formula 2 e la Formula 1?

«Enormi, guidando un Formula 1 devi adattare il tuo stile di guida a un'auto molto sensibile dal punto di vista dell'aerodinamica, molto potente. In Formula 2 hai un'auto che puoi guidare in ogni condizione senza doverci lavorare troppo. In Formula 1 puoi adattare la tua macchina a seconda delle circostanze, devi cambiare assetto se piove, c'è asciutto, c'è vento, fa caldo, fa freddo... la macchina cambia molto, non è mai la stessa».

Formula 1 a parte, che cosa fa Mick Schumacher nel suo tempo libero?

«Mi piace provare diversi sport. Ultimamente mi sto divertendo molto con lo squash. Gioco anche a calcio, ma non sono bravo come papà mi dicono».

Nella tua carriera hai sempre migliorato i risultati alla tua seconda stagione in un campionato, è il tuo obbiettivo anche in Formula 1?

«Io spero di riuscire a ottenere qualcosa di buono anche quest'anno adesso che mi sento bene dentro l'auto».

Il sogno è strappare almeno un punto?

«Non sarà facile, ma il sogno è quello».

E il sogno più sogno di tutti?

«Diventare campione del mondo. Io corro per questo. Non ci credessi non sarei qui».

Papà Michael esattamente 21

anni oggi vinse il suo primo titolo con la Ferrari. Mick lo sa, anche se non può ricordarlo perché aveva poco più di un anno.

«Le vittorie di papà le ho riviste tutte. Lui è il mio eroe, il mio esempio da seguire».

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