Gli statali ci costano 60 miliardi di troppo

Vengono pagati più dei loro cuginetti tedeschi. Negli ultimi dieci anni hanno avuto aumenti di stipendio superiori a quelli dei dipendenti privati. Hanno l’indubbia capacità di mettere d’accordo destra e sinistra, che si rincorrono nell’accontentarli. Questi fenomeni dell’accondiscendenza politica, sono i nostri dipendenti pubblici. Una pattuglia formata da 3,6 milioni di individui, una formidabile e indistruttibile lobby italiana. Il ministro Brunetta, il più bravo da anni nel suo mestiere, ha dato loro un colpetto. Ma in fondo si è limitato a chiedere loro il minimo: e cioè di lavorare.
Gli artigiani di Mestre mettono in fila un paio di numeretti che danno sostanza ai nostri peggiori sospetti. Costano più dei tedeschi e sono in numero superiore. Eppure la burocrazia di Berlino non risulta molto più inefficiente di quella di Roma. Al contrario verrebbe da pensare che il pasto servito in Germania sia più buono di quello sbattuto sulle nostre tavole. E per di più il conto è meno salato. I confronti internazionali sono sempre difficili. E spesso fuorvianti. Certo fa impressione sapere che da noi ci siano 61 dipendenti pagati dai contribuenti ogni 1.000 abitanti, mentre in Germania il rapporto scende a 55. Così come fa effetto sapere che se noi limitassimo le spese per retribuzioni pubbliche al livello tedesco avremmo un risparmio secco di 60 miliardi l’anno.
I governi, di qualsiasi colore essi siano, sono irresistibilmente attratti e catturati dalle sirene del sindacalismo pubblico. Il ministro Brunetta è stato eroico a sfidare la sorte e le piazze pretendendo, con il suo decreto, di stabilire un po’ di decenza lavorativa all’interno del corpaccione molle della pubblica amministrazione. Ma lo stesso ministro ha messo sul piatto 6 miliardi di euro per i rinnovi contrattuali della pubblica amministrazione. Ben peggiore il risultato del precedente governo Berlusconi. Si era spaccato in due come una mela per i rinnovi contrattuali del biennio 2004-2005. Da una parte i generosi (con i soldi nostri) Fini e Baccini e dall’altra i tirchietti Maroni e Siniscalco. C’è da chiedere chi l’ha spuntata? Ovvio. I pubblici dipendenti si sono portati a casa aumenti di retribuzione superiori al 5 per cento nel biennio.
Insomma il governo è un pessimo datore di lavoro: anche gli sforzi lodevoli delle coalizioni di centro destra sbattono la faccia sulle potenti richieste pubbliche. Ogni giorno però ci sono migliaia di imprese private che gestiscono gli affari propri con molta più lungimiranza. E negli ultimi anni lo hanno fatto con maggiore parsimonia di quanto abbia fatto lo Stato centrale.
La Banca d’Italia un anno fa scriveva: «Nel 1980 le retribuzioni unitarie lorde nel settore delle Amministrazioni pubbliche erano più elevate di quelle nel settore privato del 21 per cento; il differenziale raggiungeva il 39 per cento nel 1990, per ridiscendere al 22 per cento nel 1995; ha ripreso a salire all’inizio degli anni 2000 fino al 36 per cento nel 2006». Poi c’è stata una lieve flessione nel 2007. E dopo? Ancora la Banca d’Italia ci dà qualche numero certificato. Lo fa nella relazione del maggio del 2009: «Nel 2008 le retribuzioni lorde di fatto per unità di lavoro dipendente sono cresciute del 3,3 per cento nell’intera economia». Si tratta di una media: quelle private sono salite del 2,9 per cento e quelle pubbliche del 4,3 per cento. Molti numeri per dire una cosa sola. La media degli stipendi dei pubblici dipendenti non solo è superiore a quella dei dipendenti privati, ma tende anche a crescere a un ritmo più veloce.
C’è da chiedersi ovviamente cosa abbiano fatto i nostri travet per meritarsi tanto riconoscimento. In Italia ci sono più di 17 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 3,6 milioni che ricevono il cedolino dallo Stato rappresentano una sorta di aristocrazia contrattuale. Anche in questo caso è bene mettere le mani avanti. È di tutta evidenza che le medie possono distorcere la realtà. Una buona maestra a cui affidiamo l’educazione dei nostri figli, un poliziotto che rischia ogni giorno la vita, o un medico che lavora senza sosta, sono spesso frustrati dagli scarsi riconoscimenti, anche retributivi, che vengono loro assegnati. Ma i fatti ci dicono come nella grande pentola della pubblica amministrazione tutto venga livellato: spostato verso il basso. La pubblica amministrazione negli anni ha assunto un ruolo politico puramente sindacale e rivendicativo. La logica della politica è stata quella di non dispiacere alla moltitudine, e ignorare le eccellenze.

La banale considerazione di fondo è che quattro milioni di piccole imprese hanno un peso politico ed elettorale molto inferiore a quello di 3,6 milioni di teste che ogni giorno offrono i propri servizi ai contribuenti italiani.

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