Lo stesso cuore batte nel petto di veneti e liguri

Lo stesso cuore batte nel petto di veneti e liguri

«Cuor di Veneto - anatomia di un popolo che fu nazione» di Stefano Lorenzetto (Marsilio), un libro su «un popolo per 1100 anni Nazione», soprattutto un bel libro dove «cuor» sta per umanità verso gli altri e coraggio di dire. Con parole di Lorenzetto «il Veneto è la regione della Repubblica più longeva nel corso dei 4000 anni narrati nei libri di storia». Ciò è stato possibile anche per la capacità di fare «schei» (soldi). Gli «schei» sono la «riserva per garantire ai veneti il bene che hanno caro quanto la vita: l'autonomia», non per avallare lo stereotipo di «padroncino, analfabeta, razzista, sfruttatore, asservito al denaro». E si capisce subito che non è solo un libro di storia, ma sull'identità.
Un libro si apprezza anche per la sintonia e come non pensare ad un'altra Repubblica, quella di Genova? Se ne potrebbe attribuire la fondazione al Vescovo Teodolfo (episcopato 945/981), fondatore della Compagna, prima associazione militare cristiana di mutuo soccorso, della flotta militare di Genova Repubblica marinara italiana, l'inventore della catena di torri d'avvistamento contro i saraceni (basti ricordare l'invasione musulmana del 935 che a Genova si portò via sulle galee - stando a fonti arabe - mille donne e bambine).
Il cardinal Siri, un genovese che amava Genova, dei genovesi amava rievocare la loro storia di «vinti» nei momenti in cui si fecero rispettare: dal longobardo Rotari che distrusse le mura ma risparmiò la flotta, a Luigi XIV che bombardò il porto ma incontrò eroica resistenza. Non diverso il sentimento di Lorenzetto sul Veneto: «Ha visto i suoi martiri fucilati, il suo vessillo calpestato, le sue insegne lapidee col Leone di San Marco scalpellate via dai muri degli edifici storici... da quell'esercito francese che pretese di portare i lumi nelle contrade dove ci s'inginocchiava davanti alle edicole mariane rischiarate dai lumicini, dove tutto era luminoso, terso, serenissimo, aperto al nuovo pur nella fedeltà al vecchio, fin dai tempi di Marco Polo». Un'altra consonanza: la cucina. Poverissima per i liguri: dure gallette del marinaio, farinate di ceci, erbe amarognole come il preboggion; altrettanto per i veneti: si cibavano di pantegane arrosto, nell'Alto Garda contendevano le castagne ai maiali, al tempo del Ruzante «mettevano in tecia tutto quello che respirava, anche le mosche».
Il libro ricorda anche la durezza di vita per orfani veneti che ebbero successo e mi viene in mente Emanuele Gennaro, mio professore di filosofia al Liceo Doria, che sosteneva: «Per diventare uomini bisognerebbe restar orfani (e lo era stato), troppi genitori sono iperprotettivi». Luciano Benetton fondatore di un impero nella moda, restò orfano a 10 anni del padre che vulcanizzava copertoni di bicicletta, Renzo Rossetti fondatore dei «Fratelli Rossetti che fanno camminare il mondo», a 5 anni. Il padre era calzolaio ma nell'infanzia lui non ebbe scarpe vere e teneva sulla scrivania le sue «sgiàvare», di legno come nell'«Albero degli zoccoli».
Un'altra sintonia forte: l'Italia è ora sedicente «Repubblica fondata sul lavoro», ma proprio questa «operosità» di popolo è trasversale in alcune Regioni - Veneto e Liguria - più che in altre. Sul lavoro minorile l'autore giunge a sottolineare che «in Veneto i bambini lavoravano per sentirsi utili e anche per non sentirsi soli» e che oggi quanto a manufatti «il Veneto è diventato la Cina d'Italia». Lorenzetto considera «il lavoro una droga con il sapore di una medicina», per lui come diceva Voltaire è «la grazia laica» che allontana noia, vizio, bisogno. Con questi presupposti iniziò a lavorare presto come precoce fu la sua passione per il giornalismo. Ricorda quando nei fine settimana faceva il proiezionista all'Alcione: con le macchine Fedi a carboni in cabina e il sole che picchiava sul tetto privo di coppi, arrivare a 45 gradi era la norma.
Tra gli articoli che portano la sua inconfondibile impronta quando la sua Verona sui giornali andava alla grande con le stragi purificatrici del duo Ludwig (28 efferati omicidi), con Maso che per ereditare uccise i genitori a padellate recandosi poi in discoteca, lui su «Sette» (del 1992, diretto da Willy Molco), scrive della città del Volontariato: «Su 257mila veronesi 50mila aderivano ad associazioni filantropiche culturali...».
Nel libro questa stessa propensione alla solidarietà risalta nella galleria di veneti contemporanei, 25 interviste come le 500 puntate della rubrica «Tipi italiani» sul Giornale che l'hanno posto nel Guinness dei primati. Dedica la seconda ad Angelo Bonfanti, l'imprenditore dei matti, e l'ultima al Titta Biondi di Amarcord di Fellini, che ragazzino in collegio fu vittima d'abuso da parte di un missionario. Restò segnato a vita.

Colpevolizzazione e scintilla del piacere. Dei 25 protagonisti alcune frasi sono anch'esse protagoniste. Come questa sui Sindacati: «La ricchezza va redistribuita, ma lo sfruttamento dell'inetto sul laborioso è terribile».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica