LA STRANA PRETESA DELLE DIMISSIONI

Non si tratta di negare l’innegabile: ossia che l’offensiva del gossip e l’imperversare del sexy intossicano in questo momento la vita pubblica italiana, e hanno ricadute inquietanti sull’immagine di Silvio Berlusconi: si tratta invece - riconosciuto tutto questo - di capire a quali conclusioni la maggioranza che a Berlusconi fa capo - o Berlusconi in prima persona - debba approdare, e quali iniziative debba adottare. L’opposizione - almeno nella sua componente maggiore - sta tuonando da tempo perché, dice, il presidente del Consiglio non è all’altezza della sua carica. Deve andarsene, insiste, anche se l’aritmetica parlamentare gli garantisce una invulnerabilità a prova di bomba.
L’opposizione fa il suo mestiere - se volete il suo sporco mestiere - pur a costo di rovistare nella biancheria intima. I suoi anatemi sono scontati. Esigono invece qualche considerazione in più gli ammonimenti e gli allarmi provenienti da pulpiti meno settari. I primi li ha lanciati Giuliano Ferrara sul Foglio. Ieri è arrivato di rincalzo Giampaolo Pansa che sul Riformista, dopo una articolata analisi della situazione, si è posto la domanda del momento e ha dato la risposta: «L’Italia in crisi ha bisogno di un premier dotato di autorità indiscutibile. Berlusconi è ancora in grado di essere questa guida e questo faro? Temo di no. Lo dico senza infilarmi nella giungla dei retroscena». Ossia, in parole povere: Silvio dimettiti.
Stimo molto Pansa: e tuttavia credo che in questo caso faccia confusione - e contribuisca alla generale confusione - ponendo sullo stesso piano e intrecciando due problemi che - per il bene del Paese e in omaggio a quella Costituzione cui tutti si prosternano a corrente alternata - devono rimanere ben distinti. Il primo problema riguarda presenze discutibili, leggerezze, negligenze che avrebbero caratterizzato le notti o giornate di palazzo Grazioli e di Villa Certosa. Se a Pansa qualche esibizione non è piaciuta, sappia che non è piaciuta nemmeno a me. Vogliamo, noi immuni dall’antiberlusconismo ossessivo, esprimere le nostre forti perplessità, pur sapendo di metterci così in scia all’offensiva pettegola della sinistra? Facciamolo: nel nome della libertà d’informazione, e del decoro delle istituzioni.
Ma questa critica e questo dissenso non possono e non devono oltrepassare un limite preciso: quello che divide la polemica politica e partitica dal corretto funzionamento degli ingranaggi istituzionali. I meccanismi della democrazia e i meccanismi dello Stato non possono essere alla mercé di storiacce da fureria e di incursioni nel porno. Non è lodevole, ma è comprensibile, che l’opposizione inzuppi il pane nella vera o presunta dolce vita del Cavaliere. Il quale deriva tuttavia la sua autorità da una inequivocabile votazione popolare. Oppure stabiliamo il nuovo principio secondo cui le maldicenze dell’informazione piccante contano più delle urne?
Niente di male se suggeriamo a Berlusconi di darsi una regolata, in certe sue espansioni. Ma non si vada oltre. Ho la convinzione che i meriti e demeriti del governo e di chi lo guida debbano essere valutati più per i provvedimenti del dopo terremoto, o per la ripulitura di Napoli, o per le forti misure contro l’immigrazione clandestina che per la conoscenza con i Letizia. Berlusconi deve senza dubbio tener conto - e di sicuro, da uomo di consensi e di sondaggi, lo terrà - dei malumori emersi ultimamente. Le verifiche autentiche le affronta tuttavia alle scadenze deputate.

La prima, sotto forma di ballottaggi e di referendum, verrà subito, altre verranno in seguito, fino all’«esamone» delle prossime politiche. Questo prevede la Magna Charta della Repubblica, del tutto silenziosa sulle vicende d’alcova. L’impeachment per gossip che Pansa evoca esula dalle regole del giuoco politico italiano.

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