La strategia padana: diventare una Dc ma senza lottizzare

«È chiaro che avremo uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice prendetevi le banche e noi lo faremo», dice Umberto Bossi. Frase che non può essere, certo, passata sotto silenzio. Bossi non è politico che dà fiato alla bocca per pietire una presenziuccia sui giornali, un buffetto dall’establishment o da intellettuali di seconda fila, o un riconoscimento dagli avversari. L’abilità politica del capo della Lega sta nel mandare messaggi che hanno spesso diverse funzioni e possibili letture.
Assumendo una posizione così rude il leader padano sottolinea ai suoi la nuova fase del movimento al Nord: non più solo forza di protesta ma ormai pienamente investita di un ruolo di governo. Anche se, poi, le sparate bossiane non vanno sempre e del tutto prese alla lettera: quandodice che lui in persona farà il sindaco di Milano, per esempio, è probabile che in realtà abbia in testa solo di mantenere il controllo di ministeri e assessorati chiave. Talvolta più che il senso, bisogna ascoltare il rumore delle parole: in quel «prendersi le banche» c'è un avvertimento a quell’establishment che vorrebbe risucchiarsi la Lega come forza residuale magari utile a contenere Silvio Berlusconi. C’è, poi, la memoria dei primi anni ’90, quando l’allora impetuosa avanzata della Lega (conquistò un po’ di tutto dal comune di Milano a quello di Pavia) venne utilizzata da vecchi volponi democristiani in questa o quella fondazione per contare su forze di complemento da manovrare a piacimento. Una frase rude è il modo per spiegare come quelle fragilità siano finite: i vari interlocutori non avranno più a che fare con un movimento di protesta messo insieme in fretta ma con una forza di governo cresciuta anno dopo anno nelle amministrazioni locali, dotata di personale politico spesso di qualità.
Ma al di là dei segnali lanciati al proprio e ad altri mondi, quali saranno gli obiettivi concreti dei leghisti nel mondo bancario? Anche a misurare dal tipo di presenza degli uomini di Bossi nell’articolato mondo societario intrecciato a enti locali e Stato nazionale, si coglie come accanto alla volontà di «essere presenti» non si sia manifestato quel desiderio di generale controllo lottizzatorio con cui si è avuto a che fare in passato. E difficilmente questo avverrà nelle banche: sia perché l’iniziativa di Bossi è intrecciata costantemente a quella di un Giulio Tremonti bisognoso di tutto in una fase così delicata tranne che di far sorgere conflitti qui e lì nel mondo della finanza. Sia perché la strategia bossiana punta a consolidare le scelte federaliste impostate in questa prima parte di legislatura nell’organizzazione dello Stato, e considera il dialogo con il Pd condizione assai utile per questo obiettivo. E una guerra totale nel mondo bancario danneggerebbe qualsiasi tipo di confronto: alla fine i Pd sono più dipendenti da certi banchieri di quanto lo siano da certi pm. Né va sottovalutato, poi, come proprio le lezioni tremontiane abbiano chiarito a Bossi che un ceto di banchieri non s’improvvisa per diktat di partito: l’indubbia sapienza di tanti uomini, negli istituti di credito territoriali, di formazione dc dopo il ’45 si fonda su una storia iniziata a metà dell’800 dopo il «non expedit» di Pio IX. Tanti borghesi cattolici che non potevano entrare nello «stato» perché il Papa non voleva, si misero a fondare casse, cooperative di credito, popolari. Da questa esperienza deriva la generazione che nel Secondo dopoguerra ha svolto ad esempio nelle casse di risparmio assai bene la sua funzione. Insomma quando Bossi dice «ci prenderemo le banche», il vero obiettivo, che secondo me si pone, è di non consentire più certi giochetti: così la disattenzione al territorio, lo spostamento delle funzioni del credito dagli investimenti produttivi alle pure funzioni di retail. Una qualche distrazione per un’asimmetrica influenza straniera: ora non solo i tradizionali francesi (che spesso esercitano ruoli assai utili) ma persino polacchi e cechi si mettono in testa di «comandare» in consolidate istituzioni della nostra finanza. Alla fine più che a una stagione di lottizzazione credo che assisteremo a una fase di confronto politico serrato sugli obiettivi del sistema finanziario settentrionale (e dunque nazionale). Cosa di cui dovranno prendere nota tutti i banchieri (o manager bancari) che hanno nella loro governance espressioni del territorio.

Naturalmente giocare in grande per i leghisti non sarà solo andare in discesa: come contemperare difesa dell’interesse territoriale e nazionale da parte del sistema finanziario con efficienza delle aziende di credito è questione su cui anche rodati dc finirono per combinare qualche guaio.

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